Le recensioni di Wuz.it

Il colore del sole di Andrea Camilleri


“Sono portato a vedere possibili intrighi in ogni fatto che non sia subito chiaro, addirittura non illuminato in ogni angolo da una luce quasi solare.”
“Nel silenzio che subito fecesi alla caduta del panno, l’Inquisitore, lo solo che ne avea facoltà, parlò per lo primo. Elli disse che lo Battista morto pareagli più vivo de li vivi. A queste sue parole fra’ Raffaele, di repente impallidito, guardommi con alquanta preoccupazione. Ma l’Inquisitore altro non aggiunse e uscissene. Lo Gran Maestro invece chinossi ver me e sussurrommi che mai avea veduto in una pittura una morte tanto veritiera. Allora io resposi che forse solo chi ha dato la morte sa dipigner la verità della morte. In quel mentre fra’ Raffaele che di molto erasi fermato a guardar da presso la Decollazione fece uno balzo indietro et assai pallido in volto domandommi se era pur vero quello che gli era parso di vedere e cioè che io aveva messo la firma mia a la pittura acciò adoperando lo sangue fuoriescito da lo Battista. Elli è stato l’unico a notar ciò. Dissegli aver veduto giusto. Elli allora disse che l’aver tanto osato era somma blasfemia e che gran male ne averia avuto.”

L’autore si fa personaggio.
Un altro personaggio sembra la trasposizione moderna di quello su cui verte la storia.
Un pretesto letterario dei più antichi è all’origine di questo romanzo: il ritrovamento di un manoscritto.
Ma la vicenda, quella narrata, che nasce in tanta parte dalla verità storica e per il resto rappresenta il tentativo di riempire i momenti oscuri, quelli che nessun documento ci ha mai saputo spiegare di un pittore dalla vita più che turbolenta.
Una scelta linguistica, quella di Camilleri, in quest'ultima opera, che indica la passione dello scrittore per lo studio dei diversi codici linguistici, e per la riproduzione di formule, singole parole e costrutti sintattici da secoli abbandonati.

Il ""colore del sole"", il ""sole nero"" tante volte citato nel corso del libro, nasce dall’interpretazione che lo scrittore dà alla particolare luce dei quadri di Caravaggio: scelta stilistica e pittorica, ma origine “patologica” di quella straordinaria presenza dell’ombra da cui solo alcuni particolari (fondamentali nell’economia del quadro) vengono illuminati.
La fotofobia dell’artista è curata con gocce preparate da una vecchia bardassa e quel medicamento gli fa vedere “il sole nero”, praticamente lo fa vivere in un continuo eclissi che fa intravedere le sagome, le ombre, ma lascia gran parte del paesaggio nell’oscurità.

Partiamo però dall’inizio: Andrea Camilleri, dopo anni di assenza, decide di tornare a Siracusa, lo attirano le rappresentazioni nel teatro greco, splendido palcoscenico per le grandi tragedie del passato.
Subito accadono strane coincidenze, lo scrittore si sente preso in causa da qualche misterioso personaggio. Un bigliettino ritrovato alla fine dello spettacolo nella tasca con un numero di telefono da utilizzare una, e una sola volta, un colloquio stranissimo, un appuntamento di stampo inequivocabilmente mafioso, una specie di rapimento e l’arrivo in una grande casa nascosta: questa la premessa che vede Camilleri prestarsi per curiosità investigativa al gioco oscuro di un altrettanto oscuro personaggio.
Giunto alla villa, lo scrittore incontra un avvocato latitante (che poi sapremo braccato oltre che dalle forze dell’ordine anche dalla mafia) che come ricompensa per aver alleviato con i suoi libri le pene della moglie moribonda gli offre in visione uno straordinario manoscritto: avrà una giornata per ricopiarne quante più pagine può.
Il nostro protagonista/autore verrà, alla fine di quella strana giornata, ripreso, rilasciato e solo molto più tardi saprà che il suo “ospite” è stato messo per sempre a tacere dalla mafia.

Ecco allora il diario di Caravaggio che Camilleri crea e che vede il pittore maledetto in fuga perenne, perseguitato dalla Chiesa e dall’autorità pubblica, preda di ogni debolezza umana, dall’ira alla lussuria, uomo braccato e miserabile ai suoi tempi, grande artista ammirato nei secoli.
Sicuramente il romanzo rientra nei giochi letterari tanto cari allo scrittore siciliano, e tanto cari anche ai suoi lettori se, come accade, questo Il colore del sole, che tratta un argomento colto e raffinato, resiste da settimane nelle prime posizioni della classifica dei libri più venduti.


Le prime pagine


Nella tarda primavera del 2004 mi recai da Roma a Siracusa per assistere alla rappresentazione di una tragedia classica che assai mi interessava per la novità e l'originalità della messinscena che aveva suscitato un certo clamore nella stampa. ""Clamore"" è forse una parola eccessiva dato lo scarso interesse che televisioni e gazzette dedicano oggi a tutto ciò che abbia a che fare con l'arte, ad ogni modo a quello spettacolo era stato dedicato un certo spazio. Bastevole a incuriosirmi.
Inoltre mancavo da Siracusa da quasi cinquanta anni e m'era venuta una certa nostalgia di rivedere quel teatro nel quale da giovane m'era capitato di lavorare proprio all'allestimento di una tragedia di Euripide. Infatti, come è noto, queste rappresentazioni si svolgono nello straordinario e magico Teatro Greco alla luce del giorno, dal pomeriggio al tramonto, e richiamano di solito gran folla di pubblico.
Ma c'era un'altra ragione che mi aveva spinto a partire per la Sicilia. Avevo bisogno, per un romanzo che stavo scrivendo, di sentirmi suonare nelle orecchie la particolare parlata dei catanesi e così avevo pensato di arrivare a Siracusa nel pomeriggio di sabato, assistere allo spettacolo domenicale, il lunedì mattina, molto presto, spostarmi a Catania per trascorrervi l'intera giornata e da lì ripartire per Roma con l'ultimo aereo della sera.
Appena entrato in albergo ebbi una sgradita sorpresa. Ad attendermi nella hall trovai un giornalista di una tv locale con relativa telecamera. Evidentemente era stato il portiere a dare la notizia del mio arrivo. Il giornalista mi intervistò sul nuovo romanzo e poi volle sapere se mi trattenevo anche il lunedì, perché in quel caso m'invitava all'inaugurazione di una nuova libreria. Risposi ringraziando, ma dissi che purtroppo sarei ripartito il lunedì mattina. Il giornalista gentilmente mi fece sapere che avrebbe mandato in onda il servizio quella sera stessa. Mi sentivo un pochino stanco e perciò preferii riposarmi fino a che si fece buio. Venuta l'ora di cena, andai a Ortigia dove sapevo esser ci un buon ristorante che infatti non smentì la sua nomea, quindi mi sedetti in un caffè all'aperto e ordinai un gelato. Ogni tanto qualche passante, riconoscendomi, mi rivolgeva un cenno di saluto, due o tre anzi vennero a stringermi la mano.
L'indomani mattina verso le dieci mi telefonò una ragazza che non conoscevo: mi disse di avere saputo dalla televisione locale che mi trovavo in città, che era studentessa all'università di Catania e che stava finendo la sua tesi su un mio romanzo storico, Il re di Girgenti. Potevo essere così gentile da concederle un'intervista?
Non seppi dirle di no. Si dimostrò una ragazza gradevole e intelligente, ma mi intrattenne per oltre due ore. Ebbi appena il tempo di pranzare, riposarmi una mezzoretta e quindi dovetti avviarmi verso il teatro.
Tantissima era la gente che trovai già seduta in attesa dell'inizio dello spettacolo quando arrivai. Per fortuna avevo fatto comprare il biglietto d'ingresso alcuni giorni prima dal portiere dell'albergo presso il quale avrei abitato nei due giorni del mio soggiorno siracusano.
Quando a fatica raggiunsi il mio posto, segnato da un cuscino colorato sulla nuda pietra, m'accorsi che quello accanto, alla mia sinistra, era ancora vuoto. Me ne rallegrai intimamente perché, se non veniva occupato, avrei potuto guadagnare un poco di spazio e mettermi alquanto più comodo, dato che in realtà gli spettatori stavano pigiati l'uno contro l'altro, quasi a stretto contatto di gomiti.
La mia speranza di un minimo di libertà di movimento durò poco perché il posto, appena prima che lo spettacolo iniziasse, venne sgarbatamente occupato da un tale abbastanza in carne, un pochino apoplettico, sudaticcio e sbuffante, che, nel sedersi, mancò poco che posasse la sua natica destra sulla mia gamba sinistra. Io mi scostai come meglio potei e quello nemmeno si scusò. Per come si presentava - sdrucita camicia azzurra di jeans con un fazzolettone rosso attorno al collo, capelli crespi e arruffati, folti baffi non curati e una certa quasi ostentata volgarità nei gesti (mi bastò vedere e sentire come si soffiava il naso) -poco o nulla quell'uomo pareva avere a che fare con un evento culturale come la messinscena di una tragedia classica. Sembrava che avesse appena finito di scaricare casse di pesce al mercato e fosse corso in teatro senza aver avuto il tempo di cangiarsi l'abito da lavoro e di lavarsi.
Meno male che si stava all'aperto e di lì a poco un venticello sottile e benvenuto stornò l'odore di pesce in direzione opposta alla mia. Prima che la rappresentazione, assai meno esaltante di quanto pensassi, avesse termine, si alzò e se ne andò.
Io invece credo di essere stato l'ultimo spettatore ad abbandonare il teatro. Avevo memoria ancor viva del gioco delle rondini al tramonto quando, volando basse tra le costruzioni scenografiche di cartapesta, le rendevano misteriosamente vere, impregnate di vere grida di dolore, di vero sangue.
Per quell'ultima sera siracusana avevo un invito a cena in casa di amici che da tempo non vedevo. Fuori dal teatro restai per un momento indeciso se farmi una lunga passeggiata verso Ortigia e quindi andare direttamente a casa dei miei amici o passare prima dall'albergo. Decisi di tornare in albergo soprattutto per mutar d'abito, perché mi pareva che quello che indossavo puzzasse ancora di pesce.
Nel consegnarmi la chiave della mia camera, il portiere mi disse che qualcuno aveva telefonato pochi minuti prima per sapere se ero rientrato, ma non aveva voluto lasciare né il nome né un numero telefonico.
Non doveva trattarsi di una cosa importante, altrimenti l'anonimo mi avrebbe messo in condizione di richiamarlo. Salii in camera.
Grande fu la mia meraviglia quando, nel trasferire gli oggetti personali da un vestito all'altro, m'accorsi di avere dentro alla tasca sinistra della giacca indossata per andare al teatro un biglietto che non ricordavo d'averci messo.

© 2007, Arnoldo Mondadori Editori 

Camilleri Andrea - Il colore del sole
122 pag., 14,00 € - Edizioni Mondadori 2007 (Scrittori italiani e stranieri)
ISBN 9788804562078

Ascolta la lettura delle prime pagine su RadioAlt



L'autore



27 febbraio 2007 Di Grazia Casagrande

Il colore del sole
Il colore del sole Di Andrea Camilleri;

Andrea Camilleri è a Siracusa quando qualcuno gli infila in tasca un biglietto con un numero di telefono, che dovrà chiamare da una cabina pubblica. L'Andrea Camilleri scrittore di romanzi gialli non può sottrarsi al richiamo dell'indagine, e resta coinvolto in una serie di misteri via via più fitti e inquietanti. Misteri che lo conducono a un casale sperso nella campagna, dove gli verrà mostrato un documento incredibile, scritto di proprio pugno da un artista di quattro secoli prima. Un artista grandissimo e maledetto: Michelangelo Merisi, il Caravaggio. Le note brevi, secche, disarticolate e visionarie di questo diario costituiscono una sorta di anomalo noir, fitto di ombre e di allucinazione, sul periodo trascorso da Caravaggio a Malta e in Sicilia nell'estate del 1607.

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