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Come due stelle nel mare di Carlotta Mismetti Capua

Questa storia comincia su un autobus arancione, a Roma, in una sera di tuoni e pioggia. Un bus diretto alla Piramide, nel buio triste delle otto di sera, di ieri sera.
Ma non è alla Piramide che questa storia comincia. Questa storia comincia a Tagab, un paese sulle montagne dell'Afghanistan al confine con l'Iran, che su Google Maps, se lo cercate, sta a 4950 chilometri da Roma. Tagab, sempre se lo cercate, sono venti case, dieci mucche, tre strade, e il resto è fame, freddo e paura: a Tagab la gente scompare, da decenni qualcuno ci traffica l'oppio. Da mesi qualcuno ci traffica anche i bambini.


""Viandante, sono le tue orme / la strada, nient'altro; / Viandante, non sei su una strada, / la strada la fai tu andando"": questi celebri versi di Machado sembrano guidare il percorso di Carlotta Mismetti Capua in questa storia che comincia su un autobus arancione a Roma. Direzione Piramide, in una sera di tuoni e pioggia. È quasi Natale quando Carlotta, giornalista italiana, incontra sull'autobus 175 quattro bambini afghani, arrivati a Roma a piedi in fuga da un paese in guerra dal 1979. 4950 chilometri in condizioni disperate, da Tagab a Roma, lungo le vie della tratta internazionale di droga, organi e bambini, guidati dalla speranza che altrove si possa costruire una vita dignitosa, per ritrovarsi in un autobus di italiani che li guardano in cagnesco. Ma hanno occhi di ragazzini sporchi e dolci, e Carlotta non riesce a restare indifferente. Inizia a parlare con loro, cerca di capire da dove vengono, come sono arrivati, dove dormiranno. Li fa scendere dal bus, cerca un asilo per la notte alla Caritas. Non ci sono posti letto, le procedure non possono essere avviate, non ci sono i documenti, non è possibile portarli a casa se non a rischio di una denuncia per tratta di bambini stranieri. A Carlotta non resta che abbandonarli da soli per la notte; dà loro qualcosa da mangiare, qualche soldo e un appuntamento a tutti e quattro per l'indomani. La mattina seguente ne ritrova solo uno, Akmed.

Inizia così una delicata ed emozionante storia umana tra la giovane donna e questo figlio della guerra. Mentre Carlotta cerca il modo per salvare il giovane e affidarlo alle cure di qualche organizzazione, attiva un gruppo Facebook, ""La città di Asterix"", dove racconta giorno per giorno gli sviluppi della vicenda. Ne nasce uno storytelling giornalistico, che è ancora un gruppo di narrazione e di attivismo. Nel 2010 ha vinto il Premio Ischia del Giornalismo Social Media. Oggi Piemme pubblica il libro e il materiale disponibile sotto la licenza Creative Commons.

Carlotta si mette dalla parte di chi subisce, penetra nel dolore dell'infanzia violata e scacciata, dei traumi della guerra che c'è ma di cui i media non parlano e che la maggior parte degli italiani ignora, in un Italia che ha preferito dimenticare i tempi in cui era emigrante e oggi respinge senza scrupoli le barche cariche di uomini e bambini in mare. Ogni giornalista è preparato per le emergenze, ma stavolta tutto cambia: Carlotta entra in un mondo mai visto prima, comincia a vedere la quotidianità attraverso gli occhi di una cultura molto diversa dalla sua. Compra cellulari, chiama le organizzazioni internazionali, si scontra con la polizia, capisce che in alcuni casi - quando si cerca di aiutare un clandestino, ad esempio - la parola ""cittadino"" risulta addirittura sospetta, cerca dizionari persiani e pastun. Il tutto per cercare di non perdere di vista questi ragazzi abbandonati. E si imbatte nei cavilli di una burocrazia e di una legge feroce, che non aiuta chi ha veramente bisogno, nella cattiveria delle persone spaventate al contatto con il diverso e l'altro, nella crudeltà del pregiudizio.

Una storia coraggiosa, dove il lieto fine è ancora lontano, e una grande lezione di umanità e civiltà. Eppure solo conoscerla è già un passo in avanti per sfuggire al coro dell'indifferenza.


Quel giorno sull'autobus non mi sono sentita di mollarli: l'ho fatto per egoismo, per non farmi spellare l'anima dall'indifferenza. Nella vita ci sono cose che vanno fatte. Questa era una di quelle. Solo dopo ho capito che questo ""fare le cose che vanno fatte"" è l'essenza del nostro stare insieme: e che le parole restano belle parole se non diventano veri gesti, così come la Costituzione resta un foglio di carta se non ci metti dentro la tua responsabilità. Dell'Afghanistan non sapevo quasi niente, questi ragazzini potevano venire da ovunque: ci sono 23 guerre nel mondo. Ora dopo quest'esperienza la sola cosa che mi sento dire è che trovo ridicolo esportare la democrazia con le bombe, soprattutto quando la democrazia non l'abbiamo capita bene nemmeno noi. In questi due anni io l'ho imparata da capo, passo passo, dietro ai ragazzi.

Carlotta Mismetti Capua - Come due stelle nel mare
186 pagg., 15 € - Edizioni Piemme 2011 (Piemme Voci)
ISBN 978-88-566-1690-3


L'autrice


23 febbraio 2011 Di Sandra Bardotti

Come due stelle nel mare
Come due stelle nel mare Di Carlotta Mismetti Capua;

È una sera di pioggia battente a Roma e, mentre il Tevere esonda, sull'autobus 175 si sta stretti. Troppo stretti, forse, la gente quasi si restringe per evitare di sedersi accanto a quattro ragazzini sgualciti: "i soliti rumeni", mormora una donna. Ma che non sono rumeni, Carlotta, anche lei su quell'autobus, se ne accorge subito. E incuriosita, e si rivolge loro in inglese. Poche domande semplici, guardandoli negli occhi, occhi stanchi ma scintillanti. Scopre, con stupore, che quei quattro ragazzini vengono dall'Afghanistan. Scopre che sono giunti in Italia a piedi, dopo un'incredibile marcia durata cinque mesi e cinquemila chilometri. Sorridono ora, sembrano contenti, contenti che il loro viaggio sia giunto alla meta prefissata, alla Piramide, la fermata dove trascorreranno la notte in quella che per loro è "la città di Asterix". Quattro ragazzini afghani a Roma, soli, sotto la pioggia, circondati dalla diffidenza della gente. Carlotta dà loro appuntamento per la mattina seguente. Ne ritrova solo uno, Akmed. È l'inizio di una delicata storia umana, tra una giovane donna e un figlio della guerra. Una storia in cui tutto diviene emergenza e ogni parola perde di significato. o ne acquista di più importanti, di nuovi.

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