Le recensioni di Wuz.it

Annibale. Un viaggio di Paolo Rumiz

“Chi sono io, per sovrapporre la mia insignificante ricerca interiore all’enormità di un evento millenario? Sarebbe un’insopportabile arroganza. Eppure, l’emozione di oggi è vera ed è degna di essere narrata. L’ombra l’ho sentita e la distanza degli eventi non è poi tanta. Ventidue secoli sono un soffio, nella storia dell’uomo. Ripenso ai racconti dei miei nonni, e mi accorgo che sì, c’è ancora un filo rosso che mi collega all’antico. Non so se per i miei figli sarà lo stesso, in questa società che uccide il tempo con la supervelocità telematica.”

Il viaggio ha inizio il mese di maggio del 2007 sul Clapier alla ricerca di tracce del passaggio di Annibale, quasi un gioco, per gli affaticati scalatori, un po’ scettici e divertiti all’idea che degli elefanti (ma chi l’ha davvero verificato?) siano passati da là. Com’è stato possibile? Chi l’ha mai storicamente provato?
Insomma, prove nessuna, ma piste ovunque, come in un territorio comanche.”
 
Dare risposte a queste domande, dopo una serie di strane coincidenze che rendono le pagine di Polibio dedicate al passaggio di Annibale ancora così attuali, non sembra assolutamente importante. Ma proprio qui, guardando dall’alto la Val Susa e scorgendo Torino, nasce in Rumiz l’idea di ripercorrere interamente il percorso compiuto da Annibale, colui che pur infine sconfitto è riuscito a entrare nel mito.


Ventimila chilometri. Dopo l’Africa, la Spagna, la Francia e un’epopea italiana durata quindici anni, la storia non finisce con la battaglia di Zama a sud di Tunisi. Continua per altri vent’anni. Anziché darsi pace, il Nostro, come posseduto da un demone, riprende a viaggiare. Va in Libano, Siria e poi ancora a Creta, in Turchia, Armenia, e poi di nuovo Turchia, nelle lande della favolosa Bitinia, poco oltre il Bosforo, dove si uccide col veleno, tradito dal suo anfitrione, per non farsi prendere dai Romani che lo braccano ancora.”


Ecco così tracciato per noi lettori anche l’itinerario che percorreremo insieme a Rumiz in questo libro, guidati dalla scrittura affascinante e coinvolgente dell’autore. Si inizia il cammino dall’Isola di Sant’Antioco, Sardegna, la Sulkì dei Fenici e dei Cartaginesi, battuta dal vento africano, e di certo più vicina all’Africa che a Roma che volle rubarla a Cartagine per il suo valore strategico.
Veniamo condotti nell’antico cimitero cartaginese, dove bambini e donne morte di parto venivano sepolti. La diceria dei sacrifici rituali di neonati da parte cartaginese nasce dall’alta mortalità infantile testimoniata da questi resti. Falsità ovviamente, fatte circolare ad arte dai Romani.

In volo si raggiunge la costa africana, Tunisi e, alla sua periferia, Cartagine appunto. La scoperta di ruderi che “parlano”, novella Pompei, e poi, la sera i preparativi per l’inizio del viaggio vero e proprio che vedrà la Spagna, e precisamente Cartagena, come prima tappa. Rumiz sa farci sentire i profumi, le voci, i colori di quella città, sa farci attraversare i secoli in un attimo, anzi sa renderli coesistenti, come forse sono, nonostante la “modernità blasfema” che avanza.


Ed eccoci al 218 a.C., iniziamo la marcia verso l’Italia con Annibale, novantamila uomini, dodicimila cavalli e decine di elefanti. Ecco Rumiz in zona basca, e poi più a nord in direzione di Andorra, e poi a Ripoll, l’ultimo centro sotto i Pirenei. La via per la Francia brulica di immigrati, “moriscos” come i soldati di Annibale, e ci sono altri incontri, una silenziosa chiatta olandese che scivola sul Rodano verso il Mediterraneo, brevi conversazioni sul mitico generale … I testi di Polibio e di Livio, che hanno accompagnato la0utore nella quella prima parte, sembrano farsi troppo ingombranti e il cammino dalla Francia al Piemonte viene fatto in leggerezza, accompagnato solo dal bellissimo paesaggio. Ed ecco l’Italia (lo “sfacelo tricolore”). Giù verso la via Emilia che è stata iniziata nel 186 a.C., alla fine della seconda guerra punica. Altri incontri, altre divagazioni sull’oggi, altre scoperte dotte, ricordi e citazioni. Lago Trasimeno, qui il nome di Annibale è dappertutto. Ma è la sosta a Canne, il luogo della sconfitta romana, il trionfo del genio militare cartaginese a emozionare lettore e viaggiatore che nell’abbandono sensuale di Capua, nei suoi ozi, riflette su quella terra di gladiatori da cui sarebbe partito anche Spartaco. Dopo un rapido passaggio in Sicilia, eccolo di nuovo in Campania e quindi in Molise e poi giù di nuovo in Puglia, Basilicata e Calabria dove le devastazioni non sono sicuramente quelle operate da Annibale, ma da ben più recenti “barbari”. Un breve volo aereo e Rumiz è in Tunisia, diretto a Zama: la strada è quella percorsa da Scipione che ha imparato molte cose dal nemico in ambito di strategia bellica. Una rispettosa visita a quella che si considera la tomba di Annibale e l’ascolto della leggenda che l’accompagna.


Ma la sconfitta di Zama non conclude lo scontro epocale con i Romani. Annibale va in Grecia, a Creta, in Armenia e infine al Bosforo dove conclude la sua vita gloriosa, diventando però eterno nel mito. Un monumento fatto erigere da Ataturk nel 1934 lo testimonia. Nulla invece resta né nella memoria diffusa di colui che fu il vincitore, Scipione. Non sono le vittorie a determinare il peso nell’immaginario degli uomini, a trasformare la storia in mito, è quella straordinarietà dell’agire di cui Annibale fu interprete.


Le prime pagine
                                                                Forse il sogno


"Se crediamo, capiremo"

In alto si è staccata una valanga, l'eco del tuono si molti¬plica, si disperde, poi sulle Alpi torna il silenzio. È il mese di maggio del 2007 e siamo perfettamente soli. Tra i picchi im¬biancati delle Cozie, nient'altro che pietre, vento, marmotte e nubi.
"Chissà se Annibale è passato davvero di qua," brontola Paolo Henry, accendendosi la pipa al riparo dal vento. Ha la faccia abbronzata dall'alta quota, una foresta di rughe da Cheyenne, un elmetto di capelli candidi e pronuncia il "dav¬vero" con una rotonda r francese. Conosce palmo a palmo le vette di casa sua e, da buon montanaro, esprime scetticismo. Il Clapier sarà anche in auge fra gli storici, ma non pare cosa da elefanti: troppo ripido. In fondo, che tracce abbiamo tro¬vato? Nessuna. Siamo saliti in sei dalla Val Susa, arrancando per ghiaioni e neve fresca fino a quota 2471, sempre cercan¬do di immaginare davanti a noi il grigio deretano di un ma¬stodonte, e non siamo affatto convinti.

Al passo c'è solo una piccola targa in bronzo tra i licheni, con l'indicazione di una strada romana e del "probabile pas¬saggio" del Cartaginese, nel 218 avanti Cristo. Troppo poco. Facciamo sosta su un roccione sgombro dalla neve: con Henry e il fotografo Paolo Siccardi, entrambi piemontesi, ci sono Albano Marcarmi e Alberto Conte, specialisti di sentieri, e Marco Samek, tutti di Milano. Dai sacchi escono panini e bor-racce di vino rosso delle Langhe, ma dopo gli ardori della vigilia la nostra euforia è svanita. A Susa ci hanno smontato già prima di partire. Pare che almeno venti passi alpini si con¬tendano il prestigio della traversata, e che su quell'unico even¬to si siano prodotte quasi novecento pubblicazioni. Una mon¬tagna di libri per un dettaglio, su cui gli storici litigano da sempre senza venire a capo di nulla.

Comincio a chiedermi cosa e chi sto cercando. Forse Annibale non è un uomo, è una malattia. E noi siamo solo gli ultimi di una processione di allocchi venuti in pellegrinaggio su queste pietraie alla ricerca del nulla. In valle ricordano bene che nel 1959 tre inglesi - fra i quali un baronetti - arrivarono sul Clapier dalla Francia con un bestione da circo. Tentarono la traversata, ma poi, visto il precipizio sul versante italiano all'altezza di Novalesa, ripiegarono sulla più comoda Statale del Moncenisio per arrivare trionfanti a Susa in un orrendo schiamazzo di folla e fotografi. Se per rincorrere un'epopea perfino i baronetti perdono il senso del ridicolo, figurarsi noi.

© 2008, Feltrinelli

Annibale. Un viaggio - Paolo Rumiz
189 pag., 16,00 € – Edizioni Feltrinelli 2008 (I narratori)
ISBN 978-88-07-01763-6


L'autore


Paolo Rumiz, nato a Trieste, inviato speciale del “Piccolo” di Trieste ed editorialista de “la Repubblica”, esperto del tema delle Heimat e delle identità in Italia e in Europa, dal 1986 segue gli eventi dell’area balcanico-danubiana.
Ha vinto il premio Hemingway nel 1993 per i suoi servizi dalla Bosnia e il premio Max David nel 1994 come migliore inviato italiano dell’anno.
Ha pubblicato, tra l’altro, Danubio. Storie di una nuova Europa (1990), Vento di terra (1994), Maschere per un massacro (1996), La linea dei mirtilli (1993; 1997), Gerusalemme (2005), La leggenda dei monti navigantiÈ Oriente.

I libri di Paolo Rumiz su Wuz


Leggi l'intervista di Wuz a Paolo Rumiz

09 ottobre 2008 Di Grazia Casagrande

Annibale. Un viaggio
Annibale. Un viaggio Di Paolo Rumiz;

Quanto pesano le ceneri di Annibale? Si chiedevano i romani al termine della seconda guerra punica. Niente, era la risposta. Eppure lo spauracchio si trasformò in eroe, l'eroe in mito e il mito in leggenda. Ed è questa leggenda che invade il Mediterraneo fino a lambire le porte dell'Asia. Quella che ci viene incontro è la storia di un uomo, temuto e rispettato, e dei luoghi che lo hanno reso celebre. Con una scrittura che illumina e che rende i fatti storici più contemporanei della cronaca, Paolo Rumiz si imbarca in un viaggio che parte dalla Sardegna - "l'isola che profuma di Oriente" -, passa per il Rodano, il Trebbia, la leggenda delle Alpi e degli elefanti, l'inferno di Canne, e arriva fino in Turchia, sulla tomba del condottiero. Annibale non è solo un viaggio nella memoria, è anche attualità, le contaminazioni culturali Occidente-Oriente, la scellerata gestione urbanistica nelle grandi città, l'inutilità della guerra, la globalizzazione, Nord Italia e Sud Italia.

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