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Ho letto “La vita privata di Giulia Schucht” e l’ho fatto tutto d’un fiato. Non sapevo che in quel libro, che mi ha accompagnato per diversi giorni, avrei trovato tanta poesia. La storia d’amore tra Antonio e Giulia è una delle chiavi di lettura, ma quello che io ho percepito, dall’inizio alla fine del romanzo, è un affresco bellissimo di un mondo che l’autrice rende alternando notizie storiche a momenti di vita familiare, sempre tratteggiati attraverso uno sguardo che va diritto all’anima dei protagonisti e dei luoghi. Ognuno di questi viene presentato con delicatezza, ma senza accondiscendenza, e con grande umanità. In questo modo il lettore partecipa all’intreccio di esistenze e di storie attraverso le azioni e le emozioni dei personaggi, che si muovono tra pubblico e privato operando le proprie scelte in totale onestà e sincerità. Ognuno di essi nutre sogni, aspettative e desideri nei confronti degli altri, ma allo stesso tempo non se ne considera tutore e tenutario assoluto: ognuno è guida e sostegno fin dove gli è concesso di esserlo. Il resto è libertà dell’anima di essere fedeli alla propria natura e alla propria causa. Apollon Schucht, padre di Giulia, non esita a viaggiare per tutta l’Europa e la Russia per far sì che le sue figlie nascano, e poi crescano, in luoghi che le rendano il più possibile libere e congruenti alla loro natura. Antonio è un uomo profondamente innamorato della propria causa politica tanto quanto lo è di sua moglie Giulia, ma è alla prima che decide di votare la propria vita, non per aridità emotiva, ma per profonda onestà intellettuale. Giulia, che è una grande violinista, per amore, per essere moglie, seppure da lontano, e madre, rinuncia ad una carriera di musicista (beninteso, rinuncia alla popolarità, ma non alla sua passione per la musica: continuerà a suonare, quando è sola, per non ferire il marito, un po’ geloso di questa sua sfera intima dalla quale si sente escluso). Anche Tatiana e Eugenia, le sorelle di Giulia, sanno trasformare la delusione di un amore non corrisposto in una partecipazione alla storia di Antonio e Giulia, che permetterà ai due sposi di incontrarsi o di tenersi in contatto anche nei momenti più difficili. Certo, la vita non è comunque sempre e solo una favola, non c’è un classico un lieto fine. Però grazie alla consapevolezza delle proprie capacità e dei limiti personali e alla fiducia nella forza dell’altro, nessuno è veramente perduto, tutti si salvano. Antonio muore in prigione e, per la Storia, la figura di Giulia scolora nell’ombra. Ma non per noi che, grazie a queste pagine, riusciamo ad incontrarla e a conoscerla, condividendone gioie e sogni, dubbi e amarezze, ricordi; osservandola condursi in un’esistenza appartata, scelta e fortemente voluta nel rispetto di sé e della propria famiglia. In memoria di un uomo che, proprio per averla amata e per essere stato da lei tanto amato, ha potuto essere l’uomo grande della Storia.
Giulia Schucht è stata la moglie di Antonio Gramsci, ma la Storia ufficiale non ci ha mai parlato di lei, per ragioni facilmente ricondubili ad un cliché misogino che ha sempre bandito dalla memoria collettiva le donne dotate di grande levatura, forza morale e consapevolezza delle proprie potenzialità. Nella Storia fatta dagli uomini, donne così – ma forse tutte le donne per essere semplicemente tali, “ambigui malanni” come ebbe a chiamarle Euripide nella pur civilissima Grecia - sono sempre state lasciate nell’ombra, specie se proprio a loro gli uomini che sono passati a quella storia hanno dovuto molto, o quantomeno una buona parte di sé nella loro maturazione individuale e politica, quando non addirittura la conoscenza, definitiva, di se stessi al compiersi del loro umano vivere. Con questo suo ultimo lavoro, in cui a un’indiscutibile abilità narrativa si intreccia una finissima tessitura lessicale e direi quasi musicale (il romanzo scorre dolcissimo, idealmente, proprio su quella musica che fu parte integrante della vita di Giulia Schucht, la quale fu, oltre che educata al Bello sin dall’infanzia e molto bella ella stessa, anche violinista dotata di uno straordinario talento), Lucia Tancredi ci racconta di un amore che irrompe, inatteso e inevitabile alla vista come un lampo, nella vita di un uomo interamente consegnato alla Storia e alla Politica, in certo modo assente a se stesso, al suo io privato, e “da molti anni abituato a pensare che esista una impossibilità assoluta, quasi fatale, a che [egli] possa essere amato” (così Antonio Gramsci scrisse di sé in una delle tante lettere a Giulia Schucht). Le lettere: è attraverso esse, viaggianti tra l’Italia e la Russia in un periodo cruciale della storia europea fra le due guerre, che trascorre e si racconta, per lo più frustrato nel suo compimento ideale e invariabilmente impedito dagli eventi, questo amore inevitabile e paziente, nel senso di sofferente, fra Antonio e Giulia. Lucia Tancredi ne ricostruisce la genesi e la maturazione producendo un romanzo che è, ad un tempo, una verità storica restituita alla luce dopo quasi un secolo di colpevole silenzio imposto dalla Storia ufficiale - quella che si impara sui libri di scuola, per intenderci - e il racconto, tenerissimo e struggente, di due solitudini che, se pure in modi e misure diverse, entrano l’una nell’altra. Un incontro che fa pensare un po’ a quella riconciliazione inattesa e beata dell’individuo con la Natura e con la Storia che Dostoevskij racconta nelle “Notti Bianche”, russe anche loro come quelle in cui Antonio e Giulia si amano, di un amore che è fin dall’inzio nel segno di una lotta disarmata fra due titani, di nascosto dal mondo e dalla Storia, in silenzio, lontano da pubblici clamori, in poche, troppo brevi occasioni rubate alla Storia. Uno di quegli amori che “nascono così: senza motivo, con persone […] con le quali non si ha nulla in comune” ma che diventano, alla fine della storia - quella con la esse minuscola, quella della vita privata - il senso di un’intera esistenza, tanto che Antonio, quand'è ormai prossimo alla fine dei suoi giorni, esprime un'unica volontà, che scrive facendone testamento: “ogni cosa è per Giulia”, a lei dovuta per gratitudine e per bellezza d’essere stato amato da lei, d’averla amata, forse proprio per quell'unico minuto di beatitudine che a ogni essere umano è dato di sperimentare una sola volta in un’intera vita, come accade al Sognatore di Dostoevskij con Nàstenka, in una notte insonne lungo la Nevà, e ad Antonio, con Giulia, in un giorno di primavera del 1922 alla periferia di Mosca, “in una primavera russa senza sole”.
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