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Seguace di Errico Malatesta, Ezio Taddei fu arrestato nel ’21 e condannato a otto anni di carcere. Nel ’29, a pena quasi conclusa, organizzò uno sciopero della fame per ribellarsi alla decisione del direttore di privare i politici di ogni lettura. Per punizione fece altri cinque anni di detenzione. Uscì nel ’33, con obbligo di residenza nella sua città natale, Livorno. Tentò la fuga in Svizzera, fu catturato e subì altri due anni di prigione. Quando uscì, fu mandato al confino, prima a Ponza, poi a Bernalda, un paesino della Basilicata. Nel ’38 riprovò a raggiungere la Svizzera. Ci riuscì. Da lì passò in Francia e nel ’39 raggiunse l’America, dove divenne amico di Carlo Tresca, giornalista e editore del settimanale “Il martello”. Nel ’43 Tresca fu assassinato, Taddei indagò personalmente e vennero allo scoperto sporchi legami tra politici, giudici corrotti e mafia. Taddei divenne personaggio scomodo, nel ’45 fu espulso come indesiderabile e rimpatriò. Un anno prima aveva pubblicato a New York il suo romanzo “Il pino e la rufola” (The pine and the mole). Anni Venti. Livorno fra sentenze e tribunali, stracci rattoppati e sete fruscianti, lotte operaie e oscuri fascismi, parole d’amanti e sapori di puttane. Nei salotti “bene”, disturbano i lamenti delle sirene che dalle fabbriche e dai piroscafi si levano in segno di rivolta per l’uccisione di due operai a Firenze; borghesia infastidita più dalla geremiade della sirena che dal traffico di bambine della Gugliotti che “tiene” ad accontentare lor signori. Attorno, un mondo di reietti sciancati nel corpo e nell’anima. Ed è qui, il terreno fertile per i sogni e i più alti ideali. Qui, dove gli uomini sono maltrattati, abusati, sfruttati. Dimenticati. La Storia s’insinua nelle vie, nelle case, nelle vite, nelle storie personali. Tutto si fonde e si fa racconto corale di forza straordinaria. La scrittura di Taddei si leva potente, ruvida, pregna di quell’amore che “l'angelo povero della letteratura italiana” (come lo definì Giancarlo Vigorelli) mostra per i più deboli. Graffia, segna e non si cancella. Taddei era un autodidatta. Non aveva studi, apparteneva al mondo dei diseredati. La bellezza della sua scrittura è data dalla grandezza del suo cuore. Niente, c’è niente da fare. Gli scrittori sono quelli che hanno tanto da dire e da dare. Non servono corsi di scrittura né lezioni di stile. Bisogna avere dentro la rivoluzione. E lasciarla esplodere. Il resto è fuffa. P.S. Grazie Gian Carlo Fusco, che mi hai fatto scoprire Taddei tramite il tuo libro “Gli indesiderabili” e grazie Spoon River per averlo ripubblicato. Ma soprattutto grazie a te, Ezio, che mi hai permesso di stringere fra le mani un fiore tanto bello.
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