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Anno edizione: 2015
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Libro breve ma intenso
“Tutto divisa, anche lui, dalla testa ai piedi: quella divisa attillata, di un’eleganza schizzinosa, astratta e implacabile, che inguaina la persona, il fisico ma anche e soprattutto il morale, con un ermetismo da chiusura-lampo. E’ la parola verboten tradotta in uniforme: proibito l’accesso all’uomo e all’individuale passato che vive in lui, che è la sua storia e la sua più vera <<specialità>> di creatura di questo mondo; proibito vedere altro che questo suo <<presente>> rigoroso, automatico, intransigentemente reciso” (p.16) La tristemente famosa retata nazista nel Ghetto ebraico di Roma è qui raccontata da un testimone d’eccezione dei fatti accaduti: appunto Giacomo Debenedetti. Si divide in due parti: la prima è quella che più ho amato. 16 ottobre 1943, è la cronaca fredda e asciutta (“trasparente come il vetro”, Natalia Ginzburg) del rastrellamento e una breve disamina sul perché gli ebrei del ghetto hanno creduto, sino alla fine, alla parola dei tedeschi a cui bastavano 50 kg d’oro, chiesti il 26 e consegnati il 28 settembre, per chiudere “la questione”: vale a dire l’accusa di essere italiani e, quindi, traditori contro la Germania e di essere ebrei e, quindi, “appartenenti alla razza degli eterni nemici della Germania” (p.9). Varie concause li hanno portati a non fuggire dall’imminente rastrellamento: -la donna che avverte la comunità del pericolo viene considerata “una chiacchierona, un’esaltata, una fanatica: basta vedere come gesticola quando parla, con gli occhi spiritati sotto quei capelli di crine vegetale. (…) Come si fa a dare ascolto alle Celeste?” (p.5); -gli ebrei avevano e forse hanno (?) un rapporto particolare con l’Autorità costituita: “fin da prima della caduta di Gerusalemme, l’autorità ha esercitato sugli ebrei un potere di vita e di morte assoluto, arbitrario, imperscrutabile. Questo ha fatto si che nelle loro teste e nel loro stesso inconscio, l’Autorità si configurasse come un nume onnipotente, esclusivo e geloso. Diffidarne, quando essa promette, sia per male che per bene, è cadere in un peccato, che presto o tardi si sconterà (…)” (pp.7-8) quindi dopo i fatti del 26 e del 28 settembre “Si sentivano come vaccinati contro ogni ulteriore persecuzione. Sarebbe stata un’ingiustizia, e per temperamento non vi potevano credere. Mostrar di temere sarebbe stato un polemizzare contro i tedeschi, manifestargli dell’antipatia. E infine sarebbe stato un peccare contro l’Autorità. Perciò, quella sera, gli ebrei risero al messaggio della pazza Celeste” (p.8); -Non vogliono più peregrinare per il mondo, vogliono stabilità: “L’ebreo errante ormai si sente stanco, ha troppo camminato, non ce la fa più. La fatica di tanti esilii e fughe e deportazioni, di quelle tante strade percorse dagli avi per secoli e secoli ha finito con l’intossicare i muscoli dei figli, le loro gambe si rifiutano di trascinare ancora i piedi piatti” (pp.18-19); -ed, infine, elementi responsabili della Comunità “senza dubbio a fin di bene” lavoravano per “spargere fiducia” (p.19). Otto ebrei, invece, ha un linguaggio complesso che si fa fatica a leggere. Comunque, vi si narra che dopo la liberazione afflitti dal senso di colpa tutti creavano “eccezioni a vantaggio degli ebrei” e questo, quindi, “non è un modo di riparare dei torti. Riparazione sarebbe rimettere gli ebrei in mezzo alla vita degli altri, nel circolo delle sorti umane, e non già appartarneli, sia pure per motivi benigni. Questa è una antipersecuzione: dunque, fatta della medesima sostanza psicologica e morale che materiava la persecuzione”… c’è sempre, quindi, il pericolo di distinguere gli ebrei dalla razza umana.
Un testo importante per non dimenticare.
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