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La montagna magica - Thomas Mann - copertina
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La montagna magica
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La montagna magica - Thomas Mann - copertina

Descrizione


È questo il secondo atto dell'impresa di ritraduzione della narrativa di Mann, avviata nel 2007 dal Meridiano "Romanzi" ("I Buddenbrook" e "Altezza reale"). Con il titolo "La montagna incantata", il capolavoro di Mann, uscito a Berlino nel 1924, venne tradotto in Italia nel 1932 e poi da Ervino Pocar nel 1965. Con questa pubblicazione, il romanzo di Mann - una vera e propria "opera-mondo" - ritorna in libreria in una nuova traduzione corredata da un vasto commento analitico, viatico per penetrarne la complessità anche filosofica. La traduzione di Renata Colorni - traghettatrice dell'opera di Freud presso il pubblico italiano a partire dagli anni Settanta, oltre che traduttrice di numerose e importanti opere della narrativa tedesca - grazie all'attenzione verso i suoi caratteri linguistici distintivi, restituisce al dettato manniano la sua caleidoscopica unicità. La curatela è del germanista Luca Crescenzi, che oltre al commento firma anche una introduzione che si affianca allo scritto dello studioso tedesco Michael Neumann.
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Dettagli

2010
30 ottobre 2010
CLXXXIII-1422 p., Rilegato
Der Zauberberg
9788804594253

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 1/5

La Montagna Magica è un libro che odio e che non dimenticherò mai. Amiamo le storie di cui ammiriamo i protagonisti. Ammiriamo ciò che non possediamo. Non ammiro Hans Castorp, perché è troppo simile a me. Il giovane Hans va a trovare il cugino, ricoverato a un sanatorio in cima a una montagna, ma alla fine si scopre che anche lui è malato e, sotto il consiglio del medico, si ricovera al sanatorio per qualche settimana. Ben presto verrà ammaliato dalle dinamiche sociali di quel luogo così lontano dal mondo concreto, quello laggiù in basso, fatto di persone, azioni concrete, progetti, relazioni. Le convenzioni si mantengono, ma a volte si capovolgono, vengono modificate in maniera sottile ma determinante. I confini fra salute e malattia, fra vita e morte, si fanno labili, evanescenti. I corpi si fanno diafani, gli spiriti si carnalizzano. Il giovane Hans guarda e si incuriosisce. Scopre gli hobby artistici del medico, rimane imbrigliato in infinite conversazioni con Lodovico Settembrini, un italiano illuminato dalla diabolica parlantina, parla di strategie militari col cugino, frequenta seminari razionalisti e sedute spiritiche, si interessa di biologia, poi di astronomia, poi di musica classica, parla con questo e con quello, in tedesco, in italiano, in francese, perché l'unica vera lingua, in Europa, è la traduzione. Quindi, si innamora di Madame Claudia Chauchat, una giovane russa scandalosa e un po' volgare. Si dice che sia sposata, e che il marito sia un felicissimo cornuto. Si dice che abbia molti amanti. Hans guarda Claudia solo da lontano. Una porta che sbatte è un tuono che squarcia il cielo rarefatto che avvolge la montagna come una gelida coperta celeste. Uno sguardo è un dardo avvelenato. Quella voce è una melodiosa tortura. Hans decide di dichiararsi a Claudia, dopo molto tempo. Una sera, parlano. Il giorno dopo, Claudia va via. Poi ritorna, poi se ne va di nuovo: non trova pace. Ma Hans rimane nel sanatorio. Rimane lì a osservare il tempo che passa. E le settimane si fanno mesi, poi anni. All'inizio, Hans avrebbe dovuto trattenersi nel sanatorio per tre settimane. Finisce col passarci sette anni. Gli "anni migliori della sua vita", se così si può dire. Gli anni in cui avrebbe dovuto affermarsi sul lavoro, viaggiare, amare, essere amato, costruire ricordi. Invece, ha passato quegli anni in cima alla montagna che, con la sua magia nera, lo ha incatenato, lo ha congelato in una dimensione priva di tempo e di significato. Una dimensione in cui le giornate sono lunghissime e interminabili, mentre gli anni inutili e vuoti volano via come il vento e, alla fine, non rimane più niente. Dopo sette anni, Hans lascia il sanatorio. Durante quegli anni, non ha fatto nulla. Ha letto molti libri che non ha capito, parlato con gente che poi se n'è andata oppure è morta, non è mai stato amato veramente. In fondo, anche lui non ha mai amato veramente. Ha creduto di amare Claudia, ma era solo un'illusione, una menzogna dell'immaginazione annoiata. Fra di loro non è mai successo nulla, a parte un paio di chiacchierate e qualche sguardo. Hans lascia il sanatorio, dunque. E quando ritorna al mondo dei vivi, subito muore nel conflitto mondiale appena scoppiato. Va bene: Thomas Mann, che gioca a voler fare l'ambiguo, ci dice che non si sa se effettivamente Hans sia morto. Sappiamo solo che è sparito: magari è vivo, chissà. Ma il punto non è questo. Il punto è che Hans, non avendo mai vissuto veramente, era già morto da molto tempo. Anzi, non era mai stato vivo. C'ho messo più di un anno a leggere La Montagna Magica, quasi due anni, a dire il vero. Avevo cominciato a leggerlo in Messico. Appena arrivato, leggevo solo libri in inglese, perché lo spagnolo ancora non lo masticavo bene. Una volta, sbirciando nella libreria Gandhi in Avenida M.A. de Quevedo, vidi The Magic Moutain e decisi di prenderlo. Non andavo avanti con la lettura. Gli autobus di Città del Messico sono troppo rumorosi per permettere una lettura concentrata. O forse no. Proprio su quegli stessi autobus, non finii col leggere molti altri libri? La verità è che The Magic Mountain mi annoiava tantissimo, mi irritava. Sarà stato per colpa della traduzione in inglese? Forse, o forse no. Spesso ero infastidito dallo sfoggio gratuito di erudizione adoperato da Mann: un trucchetto da quattro soldi per incantare i lettori più ingenui, per farli esclamare oooooh e aaaaah. Il libro non mi è piaciuto. Lo trovo sopravvalutato, inutilmente lungo, invecchiato male. Sono riuscito a terminarlo, con grande fatica, sotto il cielo scuro di Parigi. Infine, ho capito che il problema era solo uno: odiavo Hans, la sua morte interiore, la sua mancanza di vita. Avrei voluto prenderlo a schiaffi. Speravo che rotolasse giù per un dirupo o che venisse spazzato via da una valanga. E, alla fine, mi sono sentito troppo simile a lui.

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Recensioni: 5/5

Un libro inesorabile, lento ma invincibile, che avanza deciso tra i meandri dello scibile umano, la descrizione del processo di crescita desiderabile di quel fiore che sempre è sul punto di mostrare la sua incredibile bellezza che è l'uomo. Il tempo, soprattutto, e la vita e la morte e le loro relazioni macroscopiche e infinitesime tra di loro. E l'ironia, un po' beffarda, un po' pessimistica, aleggia sul romanzo come un dato oggettivo ineluttabile.

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Conosci l'autore

Thomas Mann

1875, Lubecca

Dopo la morte del padre si trasferisce prima a Monaco con la famiglia, poi soggiorna con il fratello a Roma e Palestrina. Tornato a Monaco, lavora nella redazione del Simplicissimus, ma presto si dedica esclusivamente alla letteratura.Il primo dopoguerra segna la sua definitiva affermazione, diventando massimo rappresentante della letteratura tedesca. Nel 1929 vince il Premio Nobel per la letteratura e pochi anni dopo decide di lasciare la Germania per trasferirsi prima nei Paesi Bassi e in seguito negli Stati Uniti dove rimane fino al 1952 per poi spostarsi in Svizzera.Mann sin da subito imposta la problematica dell'isolamento dell'individuo di fronte alla società borghese, e porterà avanti tale questione in tutti i suoi romanzi e racconti. Decisivo per il suo sviluppo intellettuale...

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