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Il titolo originale di questo splendido romanzo pubblicato nel 1982, “The Delicate Dependency. A Novel of the Vampire Life” è di per sé emblematico del contenuto: c’è un delicato e sottile equilibrio che lega e sorregge l’evoluzione e le sorti dei vampiri e degli esseri umani. Lo studio ed approfondimento dei fenomeni paranormali cui lo scrittore ha dedicato la sua breve vita è chiaramente percepibile attraverso le fitte maglie della trama narrativa, magistralmente orchestrata al punto da sembrare essere stata davvero composta in epoca vittoriana. Ho, trovato, invero un aspetto in comune con “Il Libro della Vita e della Morte” pubblicato nel 2011 da Deborah Harkness (anche lei studiosa di magia): lo stretto legame tra i vampiri e l’alchimia, l’arte e la scienza e la presenza di tracce del loro secolare ed infinito sapere nascoste dietro le righe di antichi manoscritti o sui portali e le volute della cattedrale di Notre-Dame osservata al chiaro di luna. I vampiri sono descritti e rappresentati come una razza a sé, “aliena”, distante, indifferente, incomprensibile perché in possesso di una gestualità, di sensi, perfino di costruzioni logiche e sintattiche differenti da quelle di noi umani. Il protagonista, uno stimato medico e ricercatore londinese, trovandosi suo malgrado coinvolto in un loro “gioco”/intrigo che culminerà nel rapimento di una delle sue due figlie, sperimenterà di persona la solitudine e l’alienazione derivanti da una simile dicotomia. Seguendolo “irretito” nella sua corsa contro il tempo per cercare la sua adorata Camilla, da Londra a Parigi, poi di nuovo a Londra fino a Firenze e Massa Marittima, il lettore sarà messo innanzi ad un finale spiazzante, emblematico di una frase detta da uno dei vampiri: la realtà è un’illusione, niente è ciò che sembra, nell’universo ci sono forze inimmaginabili.
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