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Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale
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Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale - Enzo Forcella,Alberto Monticone - copertina
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Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale

Descrizione


"Che se io potesse a far vendetta da avvelenarli quei birbanti che hanno voluta la guerra io morirei contentissimo": è il brano tratto da una lettera di un fante ventenne, che procurò al suo autore una condanna a due anni di reclusione per "lettera disfattista". Non è che uno dei tanti documenti raccolti da Enzo Forcella e Alberto Monticone, ma ce ne sono di ben più agghiaccianti: condanne alla fucilazione per autolesionismo e per fuga dinanzi al nemico; lunghi anni di carcere per 'propaganda sovversiva, per "disfattismo", per banali espressioni di insofferenza. "Maledetta la guerra, maledetto chi la pensò", "Non voglio morire per la patria", "Caro padre la guerra è ingiusta": non si può capire la tragica realtà dell'Italia della Grande Guerra ignorando le manifestazioni di disfattismo in trincea e l'attività repressiva dei tribunali militari. Una raccolta, questa, che ha dato l'avvio a nuove strade di ricerca e aperto a una corretta e completa memoria nella cultura civile.
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Dettagli

2
2014
Tascabile
6 marzo 2014
Libro universitario
C-329 p., Brossura
9788858111406

Valutazioni e recensioni

Renzo Montagnoli
Recensioni: 4/5

Non fossero bastate le tragedie di ogni giorno, gli attacchi scriteriati che consentivano di avanzare di qualche centinaio di metri a prezzo di perdite spaventose, i nostri soldati della Grande Guerra dovevano temere anche il regime di ferrea disciplina imposto e che prevedeva per ogni mancanza, anche la più lieve, pene severissime. Eppure l’orrore era talmente imperante che molti ricorrevano all’autolesionismo per fuggire da quell’inferno; c’era gente che si sparava a un dito, altri che si provocavano infezioni, altri ancora che con metodi empirici si accecavano, ma il comando era vigile, per principio non credeva a una ferita accidentale o avvenuta nel corso di uno scontro, e così in tanti andavano al Tribunale militare in processi che raramente si concludevano con un’assoluzione, ma che sovente terminavano con pene detentive di non poco conto e in taluni casi anche con la morte per fucilazione; a maggior ragione venivano punite con la massima severità le frequenti diserzioni, lo sbandamento davanti al nemico, e non mancavano i reati di opinione, sia di tipo politico che di semplice sfogo individuale, tutti sanzionati con una fermezza raramente riscontrabile. Il Codice militare che si applicava in tempo di guerra era ancora quello albertino, rivisto dopo l’unità d’Italia, e già di per sé severo, considerando la truppa niente di più che bestiame votato al macello. Poi, nel corso del conflitto, le ordinanze di Cadorna furono sempre tese a instaurare un regime di terrore, con l’espresso invito ai giudici di non andar tanto per il sottile e fu così che l’esercito italiano fu quello che, raffrontato alla sua entità, ebbe in percentuale il maggior numero di denunce, il maggior numero di processi e il maggior numero di condanne a morte. Nel computo poi non rientrano le crudeli decimazioni, quasi sempre ingiustificate, e le diffusissime renitenze alla leva. Insomma, per dirla breve Cadorna alla vigilia di Caporetto si trovò a comandare truppe stanchissime e impaurite per la severità dei metodi imperanti, e forse anche questo contribuì alla disfatta. Nella prima parte di “Plotone di esecuzione” troviamo due introduzioni storiche degli autori che aiutano a comprendere il perverso meccanismo della disciplina militare dell’epoca e a leggere le sentenze, che vengono riportate nel corposo seguito, dal punto di vista dei giudici che le hanno scritte. Per comprendere di che si tratta riporto una di queste decisioni della magistratura militare, scelta non a caso, per dimostrare che un comportamento che oggi sarebbe del tutto normale invece all’epoca e nelle circostanze della guerra si configurò come reato, con una sanzione peraltro pesantissima. Da notare che Forcella e Monticone hanno riportato i testi integrali senza correzioni quindi e con un italiano non proprio da accademia della crusca, ma anche allora gli italiani, almeno il popolo, non brillava di certo per conoscenze linguistiche. Sentenza N° 22 «Se non si muore oggi si muore domani … » R. V., anni 23, carrettiere, celibe, soldato nell’83° fanteria; condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione militare per lettera denigratoria, Tribunale militare di guerra del XVIII corpo d’armata. Feltre, 31 agosto 1916. (TS, Trib. Guerra, b. 113, f. 175, sent. 139). IL R. V. spediva dalla zona di guerra il 18 luglio 1916, una lettera a tale F. C., in cui, fra le altre, si leggono le frasi seguenti: «Non so se avrai ricevuto le lettere perché le censurano, e le scassano tutti gli scritti: per non far sapere i disagi e le perdite che si fanno nelle file e gli errori che commettono i nostri superiori… Nella mia compagnia eravamo 250 uomini. Dopo essere stato rinforzata 6 o 7 volte di venti, trenta, quaranta e fino cento per compagnia, il giorno 6 luglio eravamo rimasti appena ottanta persone, e dei venti partiti da Pistoia, nel mio plotone che erano tempo fa 65 soldati, oggi compresi i caporali e caporalmaggiore siamo rimasti in quattordici. Dunque immaginati che è successo in questi giorni – sono stato due giorni in aspra lotta, ove avemmo decimato il secondo battaglione del mio reggimento… Ma la guerra è ancora lunga e si deve concludere la pace sul nostro fronte e quello Russo, allora certo che la pace non verrà mai e si deve venire ancora a lungo tanto da non sospirare e se non si muore oggi si muore domani, perché cara mia scamparla in questa, scamparla in questa altra e dagli un mese e dagli due, dagli cinque dagli dieci e dagli dodici e quattordici, poi un giorno bisogna cadere e non si puote sfuggire, perché la storia e troppo lunga e mi è venuta a noia, io non sento più nulla e qualche giorno vado nel carcere e finisco di tribolare e di far guerra … Non credevo mai che questa guerra volesse essere così lunga e così sanguinosa e neanche disgraziata. Così se non era questa maledetta guerra, avevo quasi terminato il mio servizio … ». E’ appena il caso di far notare che né i nostri politici né i capi militari si posero mai il problema di convincere i soldati della necessità della guerra, illustrandone le ragioni e le finalità; si preferì invece avere, anziché dei collaboratori coscienti, degli uomini che non capivano il perché di tutte quelle sofferenze, asserviti come schiavi e trattati come le bestie. Il libro è estremamente interessante, anche perché affronta un tema non frequentemente trattato, e pertanto la lettura è senz’altro consigliata.

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Giovanni Bonassi
Recensioni: 5/5

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