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Moiazza. Roccia tra luce e mistero - Stefano Santomaso - copertina
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Moiazza. Roccia tra luce e mistero - Stefano Santomaso - copertina

Descrizione


La Moiazza è stata da sempre la montagna simbolo degli alpinisti di Agordo (riuniti perlopiù nel gruppo rocciatori GIR), i quali generazione dopo generazione hanno saputo sempre con modestia e lontano da clamori mediatici, misurare il loro intuito e la loro bravura tracciandovi innumerevoli difficili salite. Anche il sottoscritto è uno di loro.
Avviato già nei primi anni di vita sulle cime più facili in groppa ai miei genitori, oggi, dopo più di trent’anni, dopo aver percorso queste rocce in lungo e in largo, dopo averle salite e discese centinaia di volte, rivedo spesso frammenti della mia infanzia specchiarsi ed infrangersi su queste rocce. E sorprendentemente i ricordi più forti non sono legati a corde, chiodi, moschettoni o a passaggi estremi e vie impossibili, ma ai raggi del sole che al mattino presto filtrano attraverso le strette fessure di un fienile svegliando i bambini, all’odore caratteristico dell’erba di montagna appena falciata, al battito ritmico di chi, dopo ore di duro lavoro, batteva affilando la lama della falce. D’estate si saliva faticosamente ai piedi della Moiazza, a Binatega, dove si rimaneva per una quindicina di giorni per fare il fieno che poi in autunno veniva portato a valle, che poi in inverno veniva dato alle mucche, e così ogni anno. E la Moiazza era lì, ogni giorno, che ci guardava, che ci ammirava, perchè con le nostre fatiche rendevamo le sue vesti ancora più belle; e noi bambini guardavamo Lei cercando di capire di che umore era, se splendeva il sole o se brontolava rumoreggiando con tuoni e fulmini.
Oggi purtroppo quel mondo non esiste più. Gran parte di quel bucolico paesaggio costato tanto lavoro e fatica è ormai abbandonato a se stesso, per colpa principalmente della politica che, incapace di scelte forti a favore delle comunità locali, ha lasciato a se stessa l’agricoltura di montagna.
Ma anche avvicinandosi alle rocce la situazione è più o meno desolante. Nei pressi dell’attacco della Ferrata Costantini è evidente un grande bollo rosso della misura circa di un frigorifero, però purtroppo niente birre fresche! Stessa sorte al sentiero che sale, già evidente, attraverso gli Scalet delle Masenade dove un tempo si portavano a pascolare le pecore: una miriade di bolli rossi e frecce colorate indica agli alpinisti il giusto tracciato. Alla base di alcune pareti poi, ben visibili file di spit, catene, moschettoni e cordini che penzolano; una specie di “alpiconsumismo” che lentamente ma inesorabilmente sta sfruttando ed addomesticando le pareti.
Per carità, in montagna è giusto che ognuno possa esprimersi come vuole, ma non dimentichiamoci che se noi oggi abbiamo l’opportunità di sviluppare i nostri sogni, magari piantando i nostri chiodi o i nostri spit, è solo grazie alle generazioni precedenti che ci hanno lasciato spazi integri sulla roccia… Noi certo non stiamo ricambiando il favore!
Mi domando che senso abbia continuare ad ammassare itinerari a pochi metri l’uno dall’altro o fare a gara per riuscire a tenere l’appiglio più piccolo essendoci già numerosi siti dove si può arrampicare in tutta sicurezza o su alte difficoltà. Forse il bisogno primario dell’essere umano in questo particolare ambiente è quello di vivere un’avventura al di fuori della solita quotidianità. In un mondo dove tutto è programmato e scandito, dove quasi nulla è lasciato al caso, la montagna può essere per molti un rifugio dove assaporare il gusto dell’avventura, immergendosi in spazi ancora selvaggi, spingendosi magari verso l’ignoto o ascoltando la cosa più straordinaria dei monti e cioè il silenzio. Sarebbe senz’altro più saggio apprezzare e vivere le “terre alte” lasciandole come la natura in milioni di anni le ha formate e modellate, perchè l’unica vera valorizzazione dei monti passa per la salvaguardia e il rispetto dell’ambiente al suo stato più naturale.
Mi rendo conto di aver contribuito in maniera sostanziale alla massiccia frequentazione di queste vette. L’intento, non potendo nascondere queste montagne in tasca, era quello di creare una certa tendenza riscoprendo le vecchie salite e valorizzando l’alpinismo più tradizionale (che è anche quello meno invasivo) che a me aveva in fondo dato tante soddisfazioni.
Quello che ne è uscito non è la solita guida di arrampicata che solitamente propone ascensioni ben attrezzate e preconfezionate per il grande pubblico che evidenzia il “meglio del meglio” (o il “meglio del peggio”), bensì una raccolta di itinerari dove il primo criterio di scelta è stato il valore alpinistico delle salite, dove nulla si deve dare per scontato e dove bisogna ancora conquistarsi la vetta con fatica, intuito ed esperienza. Perchè questa, al di là delle mode che passano, è l’unica e vera essenza dell’alpinismo.
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Dettagli

2011
24 gennaio 2014
384 p., Brossura
9788897299042
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