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Nel 1912 uno studente di storia dell’arte appena laureato decide di scrivere una lettera a Bernard Berenson. Lo studente si chiama Roberto Longhi. Nessuno lo conosce. Berenson ha già pubblicato tutto ciò che lo ha reso famoso. È un uomo sulla cinquantina, al colmo dell’attività e della gloria. La lettera è un capolavoro di passione, umiltà, sincerità, improntitudine. Un capolavoro di seduzione. Il giovane spiega a Berenson chi è Berenson, e si offre come suo traduttore. Nasce così un carteggio che durerà cinque anni: un carteggio dallo sviluppo drammatico, non uno scambio di lettere ma un duello, fatto di reciproche incomprensioni ma anche di fulminea capacità di capirsi e di riconoscersi. «Eva contro Eva»: un carteggio tra due primedonne permalose e suscettibili, dove ogni parola educata e civile è un’occhiata di fuoco.
Per colmo di complicazione, scoppia la guerra. Il carteggio si tinge di grigioverde e fa nascere una scintilla di affetto come tra padre e figlio. Ma è solo un istante. La storia finisce male. La traduzione non verrà mai fatta, i due non si vedranno e non si scriveranno più. Si ritroveranno nel 1956, in occasione dei novant’anni di Berenson. Longhi ha raggiunto la sessantina. «Non l’avrei riconosciuta» mormora Berenson. L’incontro di due tra i più grandi storici dell’arte di tutti i tempi è durato il tempo di queste lettere. Gli interlocutori si sono annusati quel tanto che è bastato per accorgersi che due orsi non possono vivere nella stessa tana. A ognuno il suo regno.
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