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Gli anni al contrario - Nadia Terranova - copertina
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anni al contrario

Descrizione



Vincitore Premio Bagutta opera prima 2016

«Un racconto senza fondo, che stringe la schizofrenica storia italiana al pulsare dei sentimenti. Un racconto che mi ha legato a sé.»Roberto Saviano

Messina, 1977. Aurora, figlia del fascistissimo Silini, ha sin da piccola l'abitudine di rifugiarsi in bagno a studiare, per prendere tutti nove immaginando di emanciparsi dalla sua famiglia, che le sta stretta. Giovanni è sempre stato lo scavezzacollo dei Santatorre, ce l'ha con il padre e il suo "comunismo che odora di sconfitta", e vuole fare la rivoluzione. I due si incontrano all'università, e pochi mesi dopo aspettano già una bambina. La vita insieme però si rivela diversa da come l'avevano fantasticata. Perché la frustrazione e la paura del fallimento possono offendere anche il legame più appassionato. Perché persino l'amore più forte può essere tradito dalla Storia.
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Dettagli

2016
Tascabile
13 settembre 2016
144 p., Brossura
9788806231972
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Indice


Un brano dell'intervista di Wuz.it

WUZ: Quale significato ha, per te, la vittoria di un premio prestigioso come il Bagutta opera prima? In generale, qual è il tuo giudizio in merito ai premi letterari in Italia oggi, servono ancora a diffondere la lettura e la cultura?

N.T.: Sono spiazzata e felice, è il premio letterario più antico d’Italia. Come ho detto anche la sera in cui l’ho ricevuto, negli anni in cui scrivevo mi chiedevo continuamente se la mia piccola storia privata avrebbe davvero potuto interessare qualcun altro oltre me. Arriva dopo altri riconoscimenti (Grotte della Gurfa, Brancati, Fiesole, nell’ordine cronologico), ed è bello e importante che resista chi ogni anno trova il tempo e la voglia di dedicarsi con competenza a studiare le nuove uscite di un mondo che troppi considerano morto. Per due volte il mio romanzo è stato votato da giurie popolari costituite da lettori o circoli di lettura, anche quella è una grande gioia.

WUZ: Nel tuo romanzo hai parlato della generazione degli anni Settanta, spesso definita come “dimenticata”. Eppure, i giovani adulti di oggi si portano ancora dietro il peso di un vuoto molto simile, di flebili ideali abortiti sul nascere. Forse il tuo libro ha tanto da dire soprattutto a noi giovani?

N.T.: Spero che abbia qualcosa di diverso da dire a tutte le generazioni, che non sono mai un blocco unico ma sono costituite da individui dalle storie contrastanti.

Valutazioni e recensioni

ANTONIO RANALLI
Recensioni: 5/5

Libro imperdibile. Nadia Terranova e' la miglior scrittrice della sua generazione.

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Alessia Carmicino
Recensioni: 5/5

Gli Anni al Contrario di Nadia Terranova è la prova che per trovare il cuore di una storia e dei suoi protagonisti non occorre macerare la lunghezza di un tomo con fiumi d'inchiostro e scegliere una prosa forbita: figli di due padri agli antipodi per idee ed estrazione ma entrambi vittime in un modo o nell'altro di quella forza irresistibile che porta i genitori a condizionare le scelte di vita del loro stesso sangue, Aurora e Giovanni si conoscono e si innamorano all'Università sognando che lo studio regali loro l'emancipazione dalle famiglie e l'opportunità di fare davvero la differenza; la loro danza è un Valzer instabile che si consuma in fretta, passando dall'azzurrino dell'innamoramento e degli ideali pieni di speranza(mai copertina fu poeticamente più azzeccata) al bianco del matrimonio e al rosa della nascita, con una bambina frutto di un' incoscienza giovanile pronta a farsi guidare dagli imprevisti perché ogni cambiamento ha il sapore dell'ignoto da esplorare e per fare gli adulti ci sarà sempre tempo. Purtroppo, tutto passa, specialmente la gioventù: il ritmo della danza si fa frenetico e i passi pesanti, come l'amarezza dell'esistenza che tradisce le aspettative e domanda qualcosa che nessun anima di bambino potrebbe mai accettare per sé stessa, gli anni corrono via uno dietro l'altro annebbiando il sentimento di insoddisfazione e impotenza, mentre Aurora e Giovanni tentano di seguire il ritmo forsennato del tempo finendo per perdere l'equilibrio e cadere, senza trovare mai del tutto la forza di rialzarsi e ripartire. Intorno ai protagonisti ci sono i due capifamiglia, l'Avvocato e il Fascistissimo che confabulano teneramente nel tentativo di mettere in riga i loro ragazzi e proteggerli dalla stessa disillusione che in modo diverso aveva afflitto anche loro, gli amici di Giovanni col fascino bohemienne di chi riesce sempre a stare al centro del mondo e a fare la cosa giusta, la dolce sorellina di Aurora capace di trovare dolcezza laddove dovrebbe esserci solo grevia rassegnazione, la Droga e i suoi fantasmi che si aggirano nella notte fra i vicoli e le stazioni promettendo sollievo ad anime inappagate e infelici e soprattutto Mara, la figlia di Aurora e Giovanni, che guarda ai genitori con gli occhi del racconto conscia di quanto abbiano bisogno d' amore e perdono e non di giudizi taglienti; pulita e scorrevole, la prosa di Nadia Terranova li segue e li accompagna tutti, senza risparmiarci la crudeltà di una discesa verso il baratro inarrestabile e dolorosa ma anche concedendosi tratti di grande delicatezza e commozione, sullo sfondo di una Messina che si fa Terra di confine in bilico su quello Stretto che la taglia e la protegge dal resto del mondo. Se non ci fossero stati gli anni 70', l'eredità di una promessa di rivoluzione spezzata dal miraggio della lotta armata e da un sistema capace solo di fagocitare sè stesso e mimetizzare le sue mancanze fra gli sbuffi di fumo delle riunioni di partito, forse il destino di Aurora e Giovanni sarebbe stato diverso, o forse no: alla fine, siamo tutti figli di genitori speranzosi e risoluti e ci culliamo nell'imbattibilità di una gioventù pieni di aspirazioni e sogni, solo per essere subito dopo abbandonati a noi stessi dalla solita gretta e ben oliata macchina di fango e scartoffie. Così, mentre il soffitto ci schiaccia col peso di una solitudine troppo grande e l'incognita del domani cerchiamo di dare quello che possiamo e di trovare la persona giusta, di sopravvivere alla somma di tutti gli errori commessi, dei lutti e delle delusioni, confidando che le cose buone che facciamo siano abbastanza da bilanciare il contraccolpo; per continuare a ballare, traballanti e incerti ma ancora resistenti, il valzer di una vita che ci fa girare sempre al contrario ma il cui ritmo resta sempre irresistibile.

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giuseppe stamegna
Recensioni: 5/5

Il settantasette. Anno potente, creativo, violento. Questo mi ha sempre evocato l’anno sacro per eccellenza, per noi che siamo spersi in ammassi d’anni indefiniti, arrivati sempre dopo. Ricordo l’emozione acida nel leggere il libro di Franceschini “Mara, Renato ed io”. All’epoca stavo sempre a sinistra di qualcosa. Quando poi in fondo era il desiderio di stare coi deboli, gli afflitti dell’universo, quelli che non ce la facevano mai; non avevo mica voglia di menare il prossimo, o sfasciare vetrine né trollare negli anni a venire sui social. Non capivo niente. In realtà da un po’ di tempo sto cercando di dissacrare il mio settantasette della mente. Quella poltiglia grigia che ha tentato di colonizzare le mie forze reali, autentiche in cambio di eroi di cartapesta, poca addestrati alla realtà, eppure cosi devianti verso tunnel paurosi che non vorrei più attraversare. Allora Gli anni al contrario coincidono col mio tempo, con la mia inattesa resa, e con la mia piccola soddisfazione di rinascere di martedì. E portare con me di quegli anni lì soltanto canzoni, film, e ogni commovente cosa che ancora li rappresenta. E alcune leggi dello stato fondamentali. Poi compare un presente prepotente, spinto da raffiche di vento che scopre una storia, nuova, senza più polvere ipocrita a ricoprirla. Così mi sono ritrovato tra le mani “Gli anni al contrario”, in un pomeriggio qualunque, dentro un centro commerciale-scatolone, e lì dentro avevo voglia di alzarmi dalla panchina e dire ai griffati e flemmatici passanti: ecco la storia che aspettavo. Eppure, a essere onesto, non mi aspettavo che Nadia Terranova scrivesse questa storia. Di un uomo e una donna, uno stretto, due famiglie ingombranti alle spalle, la politica che schiaccia nei ruoli, ma nemmeno che raccontasse (così lucidamente bene) quegli occhi della picciredda. Per non parlare di quell’esaltazione che si trasforma in terrore, nelle pagine centrali del libro, senza giudicare se non raccontando con rigore quel tempo. In fondo nemmeno di quelle lampare spiate con dolcezza la notte, credevo mi raccontasse. Ero solo un bimbo in attesa del suo racconto, volutamente senza immaginazione. Così mi ritrovo in Via Teulada assieme ai profili ancora un po’ sfocati nella mia testa di Aurora e Giovanni. Entro in Rai; no, non faccio il presentatore, e neppure l’usciere da Vespa, continuo a leggere il libro nonostante la sala si vada riempiendo di aspiranti scrittori: di ogni età, e di tutte le velleità possibili. Resto un po’ ad ascoltare la litania, poi scocciato mi arrendo, saluto, esco, e ai tornelli m’incastro, e accanto vedo Riccardo Jacona che mi osserva come se fossi un piccione, o uno scemo. Sul 495 mi rimetto sotto con la lettura, che si apre, e mi confonde spingendomi dentro a quei sentimenti che ho sempre temuto, aspettato: quelli misteriosi e dolcissimi che si vengono a creare tra un genitore e il proprio figlio. Infatti, Mara e Giovanni cominciano una corrispondenza fantastica, che diventa l’appiglio elastico per gestire un amore, un dolore; che intanto Aurora sente come suo fallimento, ma a questo punto pare non si arrenda neppure lei, si defila con fatica e determinazione, permettendo al marito e alla figlia di crearsi un mondo un po’ migliore: popolato di frasi dolci, di animali da fattoria, e attese che colorano sogni a venire. Al capolinea di Ponte Mammolo sto tifando per la saggezza di Aurora, pilastro quanto Colapesce nel gestire le forze bestiali dello stretto, e delle fragili consistenze del futuro famigliare. Poi arrivo a casa e saluto la famiglia, mi viene quasi da piangere a vederli lì con quegli occhi pieni e desiderosi di aspettarmi, invece sorrido più del solito, e nel mio tono di voce sento un sottile mutamento: ancora una volta un libro mi spinge un centimetro più in là della mia condizione precedente. Mi ritrovo nel letto e subisco beato il crescendo emotivo del racconto: tutti dormono quando sento entrarmi dentro - da sconosciuto - la storia degli occhi nell’epilogo che fissano i miei già umidi, che stanno brillando di rimbalzo alle nuove luci comunali a led. Fuori c’è il solito vuoto di silenzio, dentro aria familiare che fa galleggiare paure e ignoti pensieri. Che bellezza questo minuto, mi dico, e che tenera sorpresa questo libro così vicino ai miei pensieri.

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Nadia Terranova

1978, Messina

Nadia Terranova (Messina, 1978), si è laureata in filosofia e si è dottorata in storia moderna. Per Einaudi ha scritto i romanzi "Gli anni al contrario" (2015, vincitore di numerosi premi tra cui il Bagutta Opera Prima, il Brancati e l'americano The Bridge Book Award) e "Addio fantasmi" (2018, finalista al Premio Strega, vincitore del premio Subiaco Città del libro, del premio Alassio Centolibri, del premio Nino Martoglio e del premio Mario La Cava). Ha scritto anche diversi libri per ragazzi, tra cui "Bruno il bambino che imparò a volare" (Orecchio Acerbo 2012), "Casca il mondo" (Mondadori 2016) e "Omero è stato qui" (Bompiani 2019, selezionato nella dozzina del Premio Strega Ragazzi), e un saggio sulla letteratura per ragazzi, "Un'idea di infanzia" (ItaloSvevo...

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