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Premetto che ho incontrato difficoltà approcciare in modo giusto la scrittura della Maurer e l’impostazione del suo lavoro . C’è nelle pagine del testo un io narrante molto forte che porta immediatamente all’ identificazione con la scrittrice ma è un io narrante complesso, tagliente e autoironico, duro in certi casi, quasi volutamente distaccato da quello che sta narrando. L’impatto per me è stato un filino spiazzante tanto che ad un certo punto mi sono trovata un po’ disorientata. Infatti non è sempre semplice seguire i suoi salti temporali e spaziali, i ricordi ricostruiti sui periodi vissuti e su i luoghi dove sono stati vissuti : Polonia, Slovacchia, Germania, USA per esempio. Ma anche gli incontri con altre persone non sono semplici , tutti quei personaggi, ebrei e non ebrei, sono così diversi, reticenti, spesso contradditori e molto spesso segnati dai traumi di ciò che è stato. Il linguaggio è asciutto e lontano da ogni retorica e ampollosità: semplice nella sua sintassi ma profondo nei suoi contenuti. E’ un testo che va un po’ meditato e letto per gradi. Solo così ti accorgi che il messaggio della Maurer va molto in profondità e lontananza. Viene narrato il “dopo”, la vita dei figli dei sopravvissuti che non possono dimenticare, perché anche per loro c’era e c’è un “prima” che resta sullo sfondo: quel rumore dei treni piombati che nel ‘44 portavano gli ebrei ad Auschwitz e che anche nelle oasi più felici venivano percepiti nella più impotente indifferenza..
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