La scrittura di Murakami non è stilisticamente nelle mie corde, ma poi ecco un personaggio, fino a poco prima surreale, che esprime questo pensiero: “Cammino lungo la riva della coscienza, dove le onde si muovono in un flusso e riflusso continuo. Quando arrivano, lasciano dietro di sé delle scritte che subito l'ondata successiva cancella. Cerco di leggerle in fretta, nel breve intervallo fra un'onda e l'altra. Ma non è facile. Prima che faccia in tempo a leggere, arriva una nuova onda a cancellare tutto. Nella coscienza rimangono solo indecifrabili frammenti di parole.” E questa riflessione mi destabilizza, poi accende la mia curiosità. A quel punto è facile farsi conquistare dall’autore, da quest’uomo dalla imprevedibile fantasia che vede le storie con gli occhi del fanciullo, farsi coinvolgere dai suoi personaggi nel contempo onirici e concreti.
Terminata la lettura di questo romanzo, ti pervade una strana sensazione, un po’ come accade al suo protagonista principale: “Resto lì a lungo, la mano appoggiata al bordo della finestra, a fissare il punto in cui è sparita. Magari potrebbe accorgersi di aver dimenticato di dirmi qualcosa, e tornare indietro. Ma non torna. In quel punto rimane solo una specie di cavità invisibile che ha la forma della sua assenza.”