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Dante Alighieri

LA Divina Commedia. Inferno

Riassunto

Canti I-XXXIV

Canto I: Dante si trova smarrito in una selva oscura (simbolo del suo traviamento spirituale), per uscirne tenta di risalire un colle illuminato dal sole. Tre fiere: una lonza, un leone e una lupa, gli sbarrano il passo. Appare allora un'ombra, è Virgilio che invita il poeta a seguirlo per altra strada e preannuncia la venuta di un Veltro, che scaccerà la lupa. Egli guiderà D. alla salvezza attraverso i regni oltremondani dell'Inferno e del Purgatorio, per poi affidarlo alla guida di un'anima più degna. D. accoglie l'invito e si mette sulle orme di V.
Canto II: D. è assalito da un dubbio: se sia egli degno d'andare nel regno dei morti, come Enea e San Paolo. V. lo rassicura, raccontandogli che è stato inviato a lui da Beatrice, per intercessione di due donne benedette: la Vergine e Santa Lucia. Confortato D. si mette in cammino.
Canto III: Giunto alla porta dell'Inferno, D. vi legge un'iscrizione che lo spaventa. Rincuorato da V. varca la soglia. Lo accoglie un frastuono di pianti e lamenti. V. spiega a D. che si trovano nell'Antinferno dove sono gli Ignavi. I due poeti giungono poi sulla riva del fiume Acheronte, dalla quale Caronte, traghettatore delle anime infernali, tenta di allontanare D. Un improvviso terremoto fa cadere D. svenuto.
Canto IV: Al risveglio D. si trova oltre l'Acheronte, V. gli spiega che in questa prima regione infernale, il Limbo, sono le anime dei non battezzati, puniti solo della privazione della vista di Dio, e accenna alla discesa di Cristo. Insieme raggiungono un luogo illuminato, dove V. è accolto da Omero, Ovidio, Grazio e Lucano. I sei poeti entrano in un "nobile castello". Qui sono mostrati a D. gli "spiriti magni", coloro che conseguirono fama tra gli uomini. D. e V. lasciano il Limbo e riprendono il viaggio.
Canto V: Scendono nel secondo cerchio e trovano all'ingresso Minosse, il giudice infernale, che tenta invano di trattenere D. Qui una vorticosa bufera trascina senza sosta le anime dannate dei lussuriosi, due di esse si avvicinano a D.: sono Paolo Malatesta e Francesca da Rimini. Francesca narra a D. la storia del suo infelice amore per Paolo, mentre egli le è accanto silenzioso. Vinto da pietà, D. cade a terra svenuto.
Canto VI: D. è miracolosamente trasportato nel terzo cerchio, dove sono i golosi flagellati da una pioggia greve e incessante. Cerbero, custode del cerchio, tenta d'opporsi al passaggio, ma è placato da V. D. si trattiene con l'anima del fiorentino Ciacco, che interroga sul futuro di Firenze, venendo a sapere della rovina dei guelfi di parte bianca. Chiede poi dove siano alcuni grandi fiorentini come Farinata degli Uberti, Tegghiaio Aldobrandi e Jacopo Rusticucci.
Canto VII: All'ingresso del quarto cerchio D. e V. trovano Pluto. Ancora una volta V. interviene per evitare che un demone infernale ostacoli il loro cammino. Quindi mostra a D. i dannati, avari e prodighi, costretti a spingere in opposte schiere enormi pesi. Interrogato da D. egli spiega che la Fortuna è un ministro del volere divino, cui è stata affidata la distribuzione dei beni mondani. I due poeti scendono nel quinto cerchio occupato dalla palude Stigia, dove sono immersi gli iracondi e sommersi nel fango gli accidiosi.
Canto VIII: Sulla barca di Flegiàs D. e V. attraversano la palude Stigia. Filippo Argenti, un fiorentino di parte Nera, si scaglia contro D., V. lo respinge. Scesi dalla barca i due poeti vedono le mura della città di Dite protette da diavoli minacciosi che sbarrano le porte.
Canto IX: Dall'alto d'una torre le Erinni, Megera, Aletto e Tisifone invocano Medusa perché impedisca a D. il viaggio. Interviene un messo del cielo che apre la porta, rimprovera i demoni e permette a D. e V. di proseguire. Entrati, essi si trovano in una campagna coperta di sepolcri infuocati, nei quali sono le anime degli eresiarchi.
Canto X: Da un sepolcro l'anima di Farinata degli Uberti riconosce D. Si accende tra i due fiorentini di diversa fede politica, ghibellino Farinata, guelfo D., un teso colloquio, interrotto dall'anima di Cavalcante Cavalcanti, che chiede notizie del figlio Guido. Farinata predice poi a D. l'esilio e gli spiega la condizione dei dannati che possono vedere il futuro, ma non il presente. D. e V. riprendono il cammino.
Canto XI: Giunti sul ciglio d'una ripa scoscesa, sentono esalare dalla valle sottostante un orribile puzzo. I due poeti indugiano e V. espone a D. l'ordinamento morale dell'Inferno. Procedono poi verso il luogo della discesa.
Canto XII: Discesi nel primo girone del settimo cerchio, dopo aver superato il Minotauro, che custodiva l'ingresso, per un declivio giungono al Flegetonte, fiume di sangue bollente, dove sono immersi i violenti contro il prossimo. Lungo le rive del fiume corrono i Centauri. In groppa al Centauro Nesso, che indica alcune anime dannate, D. e V. attraversano il Flegetonte.
Canto XIII: Nel secondo girone del settimo cerchio s'addentrano in una selva di alberi spogli e nodosi, tra i quali svolazzano le Arpie. Sono le anime dei suicidi tramutate in piante. Da uno di questi arbusti, cui D. ha spezzato un ramo, gli parla Pier della Vigna, segretario di Federico II, accusato di tradimento e per questo suicida. D. assiste poi alla pena degli scialacquatori inseguiti e sbranati da fameliche cagne.
Canto XIV: II terzo girone è una landa sabbiosa battuta da una pioggia di fuoco che fiacca i violenti contro Dio, la natura e l'arte. V. riconosce Capaneo. Spiega poi a D. l'origine dei fiumi infernali. Acheronte, Stige, Flegetonte e Cocito sono in realtà nomi diversi d'uno stesso fiume formato dalle lacrime che sgorgano dalla statua d'un vecchio, simbolo del genere umano, collocata in una grotta del monde Ida, e che precipitano attraverso la roccia nell'Inferno.
Canto XV: Lungo gli argini del Flegetonte D. riconosce tra i sodomiti Brunetto Latini. Con lui parla dei corrotti costumi di Firenze e da lui riceve una seconda predizione dell'esilio. Salutando D. Brunetto gli raccomanda il suo Trésor.
Canto XVI: Tre fiorentini si fanno incontro a D.: lacopo Rusticucci, Tegghiaio Aldobrandi e Guido Guerra. Con Jacopo parla della triste condizione di Firenze dove non esistono più "cortesia e valer". D. e V, giunti nel punto in cui il Flegetonte precipita in basso, vedono salire dal fondo, nuotando per l'aria una figura mostruosa. È Gerione simbolo della frode.
Canto XVII: V. invita D. a visitare gli usurai, che si trovano sull'orlo del terzo girone. Flagellati anch'essi dalla pioggia infuocata portano al collo un sacchetto con lo stemma della famiglia. D. ne riconosce alcune. Poi con V, sulle spalle di Gerione, discende nell'abisso infernale.
Canto XVIII: L'ottavo cerchio di pietra livida è Malebolge. Nella I° bolgia sferzati da demoni sono i seduttori e i ruffiani. V. gli indica Giasone. Dal ponte della II° bolgia vede immersi nello sterco gli adulatori tra i quali riconosce Alessio Interminelli e Taide.
Canto XIX: Nella III0 bolgia confitti a testa in giù stanno i simoniaci. Hanno le gambe fuori e le piante dei piedi bruciate da una fiamma. D. parla con papa Niccolo III e poi prorompe in un'aspra invettiva contro la corruzione ecclesiastica.
Canto XX: Nella IV° bolgia vede la schiera degli indovini col capo stravolto all'indietro. V. gli mostra i più famosi ed espone le origini della città di Mantova.
Canto XXI: Dal ponte D. e V. vedono la V° bolgia ricolma di pece bollente dove sono immersi i barattieri custoditi da demoni. Il loro capo Malacoda parlamenta con V. e sceglie dieci dei suoi, comandati da Barbariccia, perché scortino D. e V. alla VI0 bolgia.
Canto XXII: Scortati dai diavoli, D. e V. proseguono lungo il margine della fossa dei barattieri. Uno di essi si rivolge a D. È Ciampolo di Navarra, che gli indica altri dannati. Sfugge ai diavoli che cercano di afferrarlo, due dei quali cadono nella pece bollente.
Canto XXIII: D. e V, che si vedono inseguiti dai diavoli, sì precipitano nella VI0 bolgia e si pongono in salvo. Vi trovano gli ipocriti coperti di pesanti cappe di piombo. Parlano con Loderingo e Catalano, bolognesi frati gaudenti. D. ne guarda stupito uno crocifisso a terra e Catalano gli spiega che si tratta di Caifas, uno dei giudici di Cristo. V. chiede come sia possibile riprendere la serie dei ponti per uscire dalla bolgia e Catalano lo avverte che quello verso il quale sono diretti è rovinato. V. s'accorge così dell'inganno tesogli da Malacoda.
Canto XXIV: D. e V. salgono a fatica le macerie del ponte e raggiungono la VII° bolgia. Qui si trovano i ladri che corrono atterriti in mezzo a una moltitudine di serpenti. Un dannato morso da un serpente incenerisce e poi riprende forma di uomo. È il pistoiese Vanni Fucci, che riconosciuto da D., si turba d'essere stato visto dal poeta nella condizione di dannato. Irato, gli predice la futura sconfitta dei guelfi bianchi.
Canto XXV: Vanni Fucci bestemmia Dio con un gesto osceno e il centauro Caco corre a punirlo. Dall'argine D. e V. assistono poi alle metamorfosi di dannati ladri fiorentini in serpenti.
Canto XXVI: Dopo una severa apostrofe a Firenze, alla quale predice grandi sventure, D. scende nella VIII°bolgia, dove sono i consiglieri fraudolenti vestiti di fiamma. Una delle fiamme è biforcuta e V. spiega che in essa sono puniti Diomede e Ulisse. Questi, che delle due è la fiamma più alta, racconta il suo ultimo viaggio e la morte.
Canto XXVII: Un'altra fiamma si ferma a parlare. È l'anima di Guido da Montefeltro, a cui D. espone le condizioni della Romagna. Guido narra di come fosse stato indotto nuovamente al peccato da un inganno di Bonifacio VIII, che gli concesse l'assoluzione prima ch'egli desse il consiglio di frode richiesto.
Canto XXVIII: D. guarda lo spettacolo della IX° bolgia, dove, mutilati dalla spada d'un demonio, stanno i seminatori di discordia. Gli passano davanti Maometto, Pier da Medicina, Mosca dei Lamberti e Bertram dal Bornio.
Canto XXIX: D. indugia impietosito al pensiero che nella bolgia si trovi lo zio Geri del Bello. V. lo rimprovera esortandolo a proseguire. Giungono al ponte che sovrasta la X° bolgia, dove colpiti da malattie che li deformano stanno i falsari. Parlano con due alchimisti (falsatori di metalli): Griffolino d'Arezzo e Capocchio da Siena.
Canto XXX: Irrompono due falsari della persona, rabbiosi, Gianni Schicchi che si finse Buoso dei Donati e Mirra che innamorata del padre si finse un'altra donna. D. parla poi con Maestro Adamo, un falsario di moneta, che ha il ventre gonfio per l'idropisia. Egli indica a D. due anime tormentate da una febbre altissima; sono la moglie di Putifarre, accusatrice di Giuseppe, e Sino-ne. Sinone e Adamo s'azzuffano rinfacciandosi le colpe e le pene.
Canto XXXI: D. e V. passano in silenzio dallo VIII° al IX° cerchio. D. scorge i Giganti, che sporgono con il busto dal pozzo infernale. Vede Nembrot, Fialte, Antèo. V. prega Antèo di porli nel fondo del pozzo.
Canto XXXII: II IX° cerchio è costituito dalla superficie ghiacciata del lago di Cocito. Nella prima zona, Caina, si trovano i traditori dei congiunti immersi nel ghiaccio. D. parla con Camicione de' Pazzi, che gli mostra i conti di Mangona e profetizza la venuta del congiunto Carlino. Nella seconda zona, Antenora, D. trova con Bocca degli Abati molti traditori della patria e vede un dannato che rode il cranio di un altro.
Canto XXXIII: È il conte Ugolino della Gherardesca, che narra a D. i particolari della prigionia e della morte sua e dei suoi figli per volontà dell'arcivescovo Ruggeri. D. passa poi nella Tolomea dove sono i traditori degli ospiti e degli amici. Alberigo Manfredi racconta di sé, di Branca d'Oria e di come in questa zona infernale l'anima scenda quando si è ancora vivi mentre un demonio s'impossessa del corpo.
Canto XXXIV: Nella Giudecca interamente immersi nel ghiaccio stanno i traditori dei benefattori. D. scorge da lontano Lucifero, orribile a vedersi con tre facce e smisurate ali da pipistrello. Nelle bocche dilania Giuda, Bruto e Cassio. Per un oscuro cammino sotterraneo D. e V. escono a riveder le stelle.

Fonte: Wuz.it

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