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Primo Levi

Se questo è un uomo

Riassunto

Se questo è un uomo è un’opera biografica dello scrittore italiano Primo Levi e pubblicata per la prima volta da De Silva editore nel 1947 e poi da Einaudi nel 1958. È una delle testimonianze più importanti sullo sterminio ebraico ad opera dei nazisti. Racconta l’anno che l’autore trascorse nel lager di Monowits (Auschwitz III) fino alla liberazione da parte dei sovietici.

II libro è un diario-racconto in cui fabula e intreccio non coincidono a causa dell’alternanza tra presente (tempo del diario) e passato (tempo della storia). Si ricostruisce, nel corso della narrazione, la vicenda vissuta da Primo Levi dal dicembre del 1943, quando in via d'Ossola fu catturato dai fascisti in un'azione contro la banda partigiana "Giustizia e Libertà" cui egli apparteneva, fino al gennaio del 1945, quando i russi lo liberarono dal campo di concentramento.

Attraverso la descrizione della terribile vita del lager, Levi mette in evidenza le reazioni dell’animo umano di fronte alla progressiva disumanizzazione cui erano sottoposte le vittime della follia nazista. In mezzo a questa brutalità l'uomo, annientato nella dignità e ridotto a un oggetto, non aveva altro modo di opporsi se non attraverso la pratica della resistenza interiore, capace di conservare una traccia di umanità. Durante il periodo della detenzione l’autore poté sopravvivere solo grazie alle razioni supplementari di cibo che un operaio italiano riusciva a procurargli clandestinamente. Inoltre, grazie al fatto di essere un chimico, dopo uno sconcertante esame, venne “assunto” nella fabbrica di gomma del campo. Per Primo Levi raccontare la sua esperienza riversando sulla pagina il peso dei fatti diventa una necessità vitale per farci comprendere appieno la sofferenza e il dolore provati nel lager.

«A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno inconsapevolmente, che "ogni straniero è nemico". Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora al termine della catena, sta il LAGER.»

Queste parole costituiscono il miglior invito alla lettura, un monito che lega la tragedia accaduta a tutte le tragedie ancora e sempre possibili. La sofferta testimonianza del Lager si traduce in una scrittura limpidissima e antiretorica, animata soprattutto dalla volontà di capire sino in fondo questo orrore della storia. Levi non chiede, bensì “comanda” attenzione e memoria al lettore perché questi si faccia carico di un pezzo di quel che è accaduto, ponendo nello stesso tempo una domanda fondamentale: è ancora un uomo “Colui che lavora nel fango/ Che non conosce pace/ Che lotta per mezzo pane/ che muore per un si o per un no”?

L’autore non chiede compassione, ma consapevolezza e vigilanza morale: dopo questo sfogo d’ira iniziale, il tono si manterrà costantemente mite. La sua voce non giudica e non odia, ma nemmeno perdona; l’intento è “fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano”. Primo Levi descrive una realtà indescrivibile: “per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo”. La deportazione nei carri bestiame, le percosse senza ragione, gli ordini urlati in una lingua straniera, il lavoro da schiavi, le selezioni per uccidere nelle camere a gas chi non riesce più a lavorare, la guerra di ciascuno contro ciascuno, le gerarchie visibili e invisibili, le figure dei privilegiati “Prominenten” e dei morti viventi “Muselmänner” (musulmani), l’abbruttimento assoluto e l’etica fondata sul raggiro e sulla sopraffazione, ma anche i rari amici e compagni di prigionia che Levi delinea da straordinario ritrattista fisiognomico-morale qual è. Il lager ci appare quindi come un mostruoso esperimento antropologico in cui la natura umana perde le sue radici e sfocia in una crudeltà innaturale. Con una sintassi che ricorda i grandi classici latini e italiani, con l’epicità di Omero e la solennità di Dante, Primo Levi riesce addirittura a venare di un leggero umorismo la sua prosa. Testimone e artista, offre questo libro come uno specchio per le vittime, i carnefici e i comuni lettori.

Fonte: Wuz.it

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