Le recensioni di Wuz.it

Emmanuel Carrère - Il regno

Sono diventato quello che avevo così tanta paura di diventare.
Uno scettico. Un agnostico - nemmeno abbastanza credente da essere ateo.
Un uomo che pensa che il contrario della verità non sia la menzogna ma la certezza.
E il peggio, dal punto di vista di colui che ero, è che mi ci trovo piuttosto bene.

Si può descrivere in molti modi Emmanuel Carrère, uno dei più noti autori francesi contemporanei: indagatore di vite ordinarie e straordinarie, narratore di storie oscure e biografo simbionte, capace di raccontare con sensibilità vite passate e presenti e di poter trarre da esse materia per altri romanzi e storie. Quasi tutta l’opera di Carrère è un volano che si alimenta dei racconti altrui, alla ricerca continua di un’origine e di un orizzonte di senso per sé e per i suoi lettori. In particolare, il fascino delle sue biografie non risiede propriamente nella loro compiutezza e minuziosità, che pure non fa loro difetto: Carrère non desidera fare recinto attorno ai suoi personaggi, esaurendone la portata e il mistero; al contrario, la sua abilità è quella di testimoniare dello scarto che occorre tra ciò che si può raccontare degli esseri umani e ciò che è sufficiente lasciar presagire. Così accade nel racconto della vita di Philip K. Dick: Io sono vivo, voi siete morti e nel più recente Limonov, libro dedicato alla vita del controverso scrittore ucraino.

Nel 1993 Carrère si avvicinò alla figura di Jean-Claude Romand, che nel gennaio dello stesso anno aveva sterminato i suoi familiari per il timore che la sua vita di menzogne e sotterfugi - celati dall’abile recita di una vita abitudinaria e borghese - rischiasse finalmente di essere messa a nudo.
Una storia tragica e perfettamente romanzesca.
Carrère scrisse una lettera a Romand, deciso a dedicare un libro alla sua vicenda, che poi divenne L’Avversario.
L’autore trovò una definitiva intesa con lui dal momento in cui chiese all’assassino quale fosse il suo rapporto con Dio e con la religione cristiana. Parlando del “mistero della fede”, Romand prese fiducia e si aprì alle curiosità di Carrère, iniziando a rivelargli i dettagli della sua tormentosa storia.
Il Regno
parla proprio della fede: quella dei primi cristiani, degli apostoli, degli evangelisti, di San Paolo e dei convertiti. E quella dell’autore stesso, che fu cristiano fervente per alcuni anni della sua vita.

Le due strade, quella biografica e autobiografica, si incrociano costantemente nel libro, in un’opera di contrappunto e di autoanalisi colta ed affascinante.
A distinguere l’operazione di Carrère da quella di un qualsiasi storico o romanziere contemporaneo è l’abilità dell’affondo psicologico e la capacità di connettere creativamente vicende e personaggi provenienti da mondi culturali e religiosi diversi, ottenendo un risultato che non potrebbe essere raggiunto unicamente da una pur volenterosa e attenta lettura della Bibbia e dei più affidabili tra i testi dell’antichità.

Carrère si concentra in particolare sulla figura di Paolo di Tarso e dell’evangelista Luca, tra i primi divulgatori del verbo cristiano.
Il primo è presentato come un esaltato rivoluzionario e abile comunicatore, capace di utilizzare alla perfezione la retorica paradossale che sta al centro del cristianesimo - la rinuncia ai compromessi della vita a favore di una verità “altra” - per convincere e convertire genti e popolazioni diverse.

Carrère è evidentemente affascinato dalla “folle passione” di San Paolo, ma è colpito anche dalla più mite fede di Luca - medico macedone e abile narratore - nel quale sembra identificarsi maggiormente.
Attorno ai due personaggi si dipanano dedali di storie e le trame dei continui mutamenti religiosi e politici avvenuti dopo la morte di Gesù: i conflitti tra i pagani e i cristiani, le guerre giudaiche, i destini di Seneca e Nerone, le scelte di figure ambigue come quella dello scrittore e diplomatico Giuseppe Flavio, dotato dell’opportunismo di chi sa scegliere con puntualità dove e con chi conviene stare.Francisco Hayez - La distruzione del tempio di Gerusalemme

L’autore appare in continua dialettica con i suoi personaggi, le cui disavventure e turbamenti religiosi, così raccontati, possono apparire verosimili e affascinanti anche al lettore più indifferente ai temi della fede.
Quando il romanzo torna al presente, Carrère parla di sé.
Ciò che gli è rimasto del suo passato di fedele è senz’altro il persistente senso di colpa e il riconoscimento dei propri limiti: sembra volerci dire che un uomo, qualsiasi uomo, è quasi comicamente incapace di comprendere e di fare suo lo scandaloso messaggio di Cristo.

L’autore racconta a questo proposito un evento tragicomico avvenutogli nel recente passato, quando assunse una tata per la cura dei figli. Inizialmente ha fiducia in lei e, avendola salvata dalla miseria e dalla vita di strada, ammette d’essersi compiaciuto della propria munificenza.
La governante finirà col dimostrarsi molesta e assolutamente inaffidabile, ma, paradossalmente e proprio per queste ragioni, molto più vicina al senso del messaggio cristiano di quanto lo fosse l’ipocrita scrittore, con la sua bontà tiepida e di comodo.

Carrère è magistrale nel lasciare intuire, richiamandosi ad episodi di vita vissuta, quale possa essere la natura effettiva della scandalo cristiano: l’etimo di scandalo è “inciampo”, “ostacolo” e Cristo è venuto a complicare la vita degli uomini, non ad alleggerire il loro fardello.
Lo scandalo è portato anche da San Paolo, che l’autore decide di mettere a confronto con un personaggio classico del mito greco, adottato come simbolo autentico della modernità “illuminista”: Ulisse.
Tanto Paolo di Tarso rinnega la famiglia, l’origine, tutto ciò che esiste, quanto al contrario, Ulisse rifiuta l’angolo di Paradiso e di eterno oblio offertogli da Calipso per poter ritrovare la strada del suo passato: Itaca.
Ulisse viene ironicamente descritto da Carrère come un uomo tutto d’un pezzo, che rinuncia alle proposte allettanti di una vita eterna e lontana dal dolore e dalla sofferenza, una scelta che nessun comune essere umano, oggi come ieri, farebbe facilmente.
La rappresentazione della figura di Ulisse è qui modernizzata e palesemente ironica ma può rappresentare una caduta di stile per i lettori italiani, abituati a rivisitazioni simili del mito greco operate, per decenni, da Luciano De Crescenzo.

Chiuse queste parentesi digressive Carrère si premura di tornare sempre al Nuovo Testamento, e soprattutto ai Vangeli: una potente opera della fantasia umana, a cui l’autore ha fatto appello - così come il suo amato Philip Dick usava ricorrere alla consultazione del libro cinese degli oracoli, l’I Ching - per affrontare gli snodi della sua vita e per ricercare nuovi spunti creativi.
Essere cristiani sembra significare, per Carrère, essere in grado di ascoltare una storia difficile e affascinante, e riconoscere che la radicalità e il senso del dubbio possono andare a braccetto per chiunque, credente o ateo, in nome di un più raffinato e completo confronto con il visibile e con ciò che è nascosto agli occhi. 


Recensione di Boris Stoinich

Emmanuel CarrèreIl Regno
Tit.or. Le Royaume, trad. di F. Bergamasco
418 pp., euro 22,00 - Adelphi
ISBN 9788845929540  


Il regno
Il regno Di Emmanuel Carrère;

"In un certo periodo della mia vita sono stato cristiano" scrive Emmanuel Carrère nella quarta di copertina dell'edizione francese del Regno. "Lo sono stato per tre anni. Non lo sono più". Due decenni dopo, tuttavia, prova il bisogno di "tornarci su", di ripercorrere i sentieri del Nuovo Testamento: non da credente, questa volta, bensì "da investigatore". Senza mai dimenticarsi di essere prima di tutto un romanziere. Così, conducendo la sua inchiesta su "quella piccola setta ebraica che sarebbe diventata il cristianesimo", Carrère fa rivivere davanti ai nostri occhi gli uomini e gli eventi del I secolo dopo Cristo quasi fossero a noi contemporanei: in primo luogo l'ebreo Saulo, persecutore dei cristiani, e il medico macedone Luca (quelli che oggi conosciamo come l'apostolo Paolo e l'evangelista Luca); ma anche il giovane Timoteo, Filippo di Cesarea, Giacomo, Pietro, Nerone e il suo precettore Seneca, lo storico Flavio Giuseppe e l'imperatore Costantino - e l'incendio di Roma, la guerra giudaica, la persecuzione dei cristiani; riuscendo a trasformare tutto ciò, è stato scritto, "in un'avventura erudita ed esaltante, un'avventura screziata di autoderisione e di un sense of humour che per certi versi ricorda Brian di Nazareth dei Monty Python". Al tempo stesso, come già in "Limonov", Carrère ci racconta di sé, e di sua moglie, della sua madrina, di uno psicoanalista sagace, del suo amico buddhista, di una baby-sitter squinternata, di un video porno trovato in rete, di Philip K. Dick...

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