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Adone. Variazioni sul mito - a cura di Alessandro Grilli

Adone, chi era costui?
Per chi non si sia mai interessato di mitologia, questo nome evoca solamente un modello di bellezza declinabile al maschile.
Detto in altri termini, affermare che qualcuno è un Adone significa che si sta parlando di bell’uomo.
Ma un’espressione del genere può dare adito a diverse sfumature interpretative. Soprattutto in passato il personaggio di Adone evocava una bellezza efebica, un poco effeminata.
Mentre oggi, a livello popolare, si tende a figurarsi Adone quale un macho statuario, muscoloso e palestrato.
Forse la ragione di tali contraddittorietà sta nel fatto che – come ritiene Alessandro Grilli, curatore del volume “Adone. Variazioni sul mito”, che raccoglie testi di Teocrito, Bione, Ovidio, Ronsard, Shakespeare, La Fontaine, Shelley e Yeats – “il mito di Adone non si cristallizza intorno a un modello poetico unico o comunque predominante”.

Molti autori infatti, sin dalla più remota antichità, hanno scritto su questa ambigua figura archetipica “sospesa tra religione e poesia, tra mito e occasione festiva”.
Una caratteristica comunque accomuna un po’ tutti i testi che trattano di questo giovane affascinante: egli non parla mai o quasi mai.
Modalità, questa, che è indice d’una bellezza solo esteriore, quindi fatua e alquanto vuota.
Insomma, essendo tale personaggio così sfumato e incerto, lo charme di Adone, ovvero ciò che di lui seduce, è − secondo Grilli – giusto quello che le varie epoche e culture sono disposte ad attribuirgli.
Ciò non significa che manchi al mito di Adone un nocciolo narrativo comune a molte delle storie che nei secoli sono state narrate intorno alla sua emblematica vicenda.
Il nostro giovane − sin dai primi antichissimi racconti d’origine medio-orientale − è un mortale privilegiato, essendo egli un umile pastore ma amante di una dea che in Grecia, a partire da Esiodo, ha nome Afrodite, nientemeno che la dea dell’amore.
Ovvio che la relazione fra un uomo e una divinità risulti fatalmente anomala, asimmetrica e problematica (l’uno, ad esempio, è destinato a invecchiare e l’altra no). La relazione, inoltre, nel caso specifico non durerà molto, giacché il giovane verrà presto ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia.

Analizzando il nucleo originario del mito di Adone, Grilli si sofferma su un dato molto significativo. Nella morte precoce del protagonista di quella che appare una vera e propria vicenda trasgressiva è possibile cogliere il “monito” contro il rischio d’una cattiva gestione del “profilo virile” tradizionalmente inteso in una società patriarcale, per cui un uomo non deve unirsi con una partner di condizione sociale superiore.
Ma già Ovidio − nelle Metamorfosi − pare scordarsi di ciò nel presentare ai lettori, consegnandolo alla riformulazione successiva (vedi Ronsard e La Fontaine), un racconto del mito adonio incentrato sulla storia d’amore infelice e travolgente tra il più bello dei mortali e la dea della bellezza.

Ci vorrà l’originalità inventiva di Shakespeare per concepire un Adone per la prima volta insensibile alle attrattive di Venere e assai più filosofo che bel ragazzo nell’incarnare quasi un principio d’amore intellettuale contrapposto a quello che muove la dea, la quale rappresenta la spinta erotico-libidica ovunque presente nella natura.
E, nell’Ottocento, sarà Shelley a recuperare un aspetto di Adone venuto meno nei secoli, raffigurandolo quale poeta e facendo di lui il simbolo della poesia come unico fondamento d’una bellezza che risulta neoplatonicamente equiparabile a bontà e verità.


Recensione di Francesco Roat


Adone. Variazioni sul tema - a cura di Alessandro Grilli
241 p., 9 euro - Marsilio 
ISBN 9788831717335

 

Adone. Variazioni sul mito

Incerto, sfumato, contraddittorio, il mito di Adone sembra risolversi tutto in una storia di amore assoluto - l'amore che lega il giovane pastore-cacciatore alla dea stessa dell'amore in una relazione di felicità senza ombre. Quando la morte improvvisa del ragazzo, per un futile incidente di caccia, pone fine all'idillio, la vicenda diviene leggibile - e verrà letta - come archetipo illustre del binomio amore/morte. Il contrasto vertiginoso tra felicità indicibile e strazio senza rimedio addita dunque nella precarietà della gioia la cifra simbolica di questo mito - e si ritrova inscritta nella scansione delle festività per Adone, che in tutto il Mediterraneo antico giustapponevano la celebrazione dell'eros al lamento funebre. L'aspetto rituale, così importante per Teocrito e Bione (e oggetto poi di prezioso recupero in Yeats), è già sullo sfondo in Ovidio, che consegna alla tradizione successiva (Ronsard, La Fontaine) una grande storia d'amore travolgente e infelice tra la dea della bellezza e il più bello dei mortali. La linearità della vicenda ne occulta peraltro la pregnanza filosofica, che la tradizione si fa carico di esplicitare: se per Shakespeare Adone, per la prima volta insensibile alle attenzioni di Venere, incarna un principio di amore intellettuale opposto a quello che muove la dea della natura, Shelley valorizza gli impliciti neoplatonici del mito per fare di Adonais un simbolo della poesia come unico fondamento possibile di verità, memoria e comunione affettiva.

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