Le recensioni di Wuz.it

The reader - Ad alta voce, il romanzo di Bernhard Schlink

a cui si ispira l'omonimo film di Stephen Daldry con Kate Winslet e Ralph Fiennes

Percepivo ogni cosa e non sentivo niente. Non soffrivo più per il fatto che Hanna mi aveva mollato, illuso, usato. Non sentivo neanche più il bisogno di smuoverla. Avvertivo che il torpore con cui avevo registrato gli orrori emersi dal processo si era posato sui sentimenti e sui pensieri delle ultime settimane. Che io fossi contento, sarebbe davvero dire troppo. Ma sentivo che era giusto così.

La rivisitazione delle stanze più cupe, delle celle in cui l’aria ristagna lentamente finché l’olfatto si lascia assuefare e si rimane inerti a fissare un buio indescrivibile, insensibili perfino alla gelida umidità che penetra nelle ossa: immobili in uno stato di torpore. Questo è lo stato d’animo su cui si concentra il romanzo di Bernhard Schlink: la freddezza d’animo alla quale si è costretti quando la trappola degli orrori non lascia più spazio neanche al più lieve barlume di speranza.

Siamo all’inizio degli anni cinquanta e Michael Berg, ancora quindicenne, vive un’intensa relazione amorosa con Hanna, una donna adulta dal corpo robusto, i modi involontariamente provocanti e un temperamento insolito, che sembra fin da subito celare un passato drammatico. Condizione fondamentale è che Michael, a ogni visita, le legga dei libri ad alta voce. Poi Hanna scompare senza lasciare alcun recapito per poi riapparire come imputata in un’aula di tribunale, durante uno dei processi ai colpevoli delle stragi naziste, ai quali il ragazzo assiste in veste di studente universitario prossimo alla laurea in legge. Proprio in quest’occasione Michael avrà modo di capire cosa nascondeva Hanna e cosa la spinse ad abbandonarlo tanti anni prima.



L’abilità dell’autore sta nel riuscire a comunicare con estrema chiarezza una serie di ragionamenti propriamente filosofici
, in riferimento a una questione universale: il mistero che avvolge uno dei fenomeni più sconvolgenti della nostra storia, la diffusione del nazismo e gli orrori dell’olocausto. Qui non si tratta semplicemente di narrare una vicenda, ma di scavare profondamente nella psicologia di alcuni personaggi che hanno giocato un ruolo decisivo nella vita di chi li circondava infliggendo loro ferite incancellabili per motivi apparentemente futili. Hanna, pur di nascondere una debolezza di cui si vergogna moltissimo, accetta di divenire una criminale, di arruolarsi con le SS, assistere allo strazio di vittime innocenti, indifese. Lei e le sue colleghe lasciano bruciare un gruppo di donne ebree intrappolate in una chiesa appena bombardata. Perché? Ogni singolo tentativo di giustificazione conferma una sola tragica verità: loro, come chiunque avesse intrapreso quella strada, vivevano in uno stato di costante incoscienza, in balia di un liquido anestetico in grado di frenare i naturali impulsi alla compassione, all’umanità. Lo stesso accadeva ai prigionieri, dopo aver assistito a una dose estenuante di crimini gratuiti, di digiuno, di disprezzo. Il dolore di Michael per l’abbandono subito è ugualmente deleterio. Non si innamora più, non sente nulla, non sa più avvicinarsi a nessuno con il cuore, finché la tragica svolta del finale non lo riporterà a galla e farà scorrere tutte le lacrime represse fino a quel momento. Il segreto di Hanna è la spiegazione a tutto, il punto di partenza per spiegare l’inspiegabile, è il motivo del titolo The reader (Ad alta voce, in originale Der Vorleser): perché chiede a chi le sta vicino di leggerle i libri a voce alta?

Le parole si posano sulle immagini con una spontaneità e una sete di nitidezza che rendono immediato l’effetto voluto dall’autore: quello di una narrazione da cui le tinte scure si propagano con vigore nella mente di quei lettori disposti a fare un salto in un passato poco accogliente, ma intrigante. La resa dell’incontro tra la forza e la brutalità delle azioni commesse da Hanna e la fragilità del suo animo esige l’adozione di un modo di esprimersi a tratti diretto e a tratti poetico. Questa caratteristica è perfettamente collaudata dall’autore, il quale non pecca di superficialità nemmeno nel saper abbinare un impeccabile linguaggio forense a una descrizione più sentimentale e letteraria delle conseguenze e dello svolgimento del processo.


L’autore combina le sue competenze di magistrato, docente di diritto e di filosofia per dare una voce più austera ai suoi personaggi. Il padre di Michael sembrerebbe una figura marginale, ma non lo è affatto. Dai suoi consigli e dal suo ragionare sui comportamenti ideali degli esseri umani, partono le riflessioni di Schlink e la propensione del protagonista a riflettere sulle reazioni altrui, sui motivi di alcuni atteggiamenti inspiegabili. La libreria del padre è motivo di omaggio ad alcuni illustri filosofi, come Kant e Hegel, dei quali si scorge un'eco lieve, lontano, ma fondamentale. Basti pensare alla critica del giudizio.

Ricco di flash back e intarsiato di altri racconti correlati alla trama principale, il romanzo vanta una struttura congeniale al tema che affronta. Più le storie si intrecciano e più pullulano di colpi di scena e riflessioni importanti sulle follie, le stranezze, le atrocità, la codardia a cui possono spingere le più banali debolezze. Inscindibili sono il presente e il passato, insieme promotori di un incrocio di vite apparentemente distanti, le quali, tuttavia, si scoprono appese ad una condizione affine, intrappolate dalle conseguenze inevitabili di un’esperienza troppo grave, opprimente, tanto da far soffiare ancora un vento rabbioso, aggressivo, da cui scaturiscono ricordi immuni perfino allo scorrere del tempo .


Le prime pagine


Bernhard Schlink
The Reader


1.

Quando avevo quindici anni ebbi l'itterizia. La malattia cominciò in autunno e finì in primavera. Quanto più l'anno vecchio si faceva freddo e buio, tanto più io m'indebolivo. Solo con l'anno nuovo diedi segni di ripresa. Era un gennaio caldo, e mia madre mi spostò il letto verso il balcone. Vedevo il ciclo, il sole, le nuvole e sentivo i bambini giocare in cortile. Una sera di febbraio, sul presto, sentii cantare un merlo.
Il mio primo percorso partiva dalla Blumenstraße, dove abitavamo al secondo piano di una casa massiccia, costruita agli inizi del secolo, e mi portava nella Bahnhofstraße. In quella via, un lunedì d'ottobre, tornando a casa da scuola diedi di stomaco. Già da diversi giorni mi sentivo debole, così debole come mai m'ero sentito in vita mia. Ogni passo mi costava fatica. Quando a casa o a scuola dovevo salire le scale, le gambe quasi non mi reggevano. Non mi andava neanche di mangiare. Perfino quando mi sedevo a tavola affamato, sentivo subito avversione per il cibo. La mattina mi svegliavo con la bocca secca e la sensazione di avere in corpo degli organi pesanti, in disordine. Io mi vergognavo di essere così debole. E mi vergognai soprattutto quella volta che diedi di stomaco; anche questo non m'era mai successo. La mia bocca si riempì, mi sforzai di mandar giù, strinsi le labbra, la mano premuta sulla bocca, ma il getto uscì dalla bocca e tra le dita. Poi mi appoggiai al muro di quella casa, vidi il vomito ai miei piedi e inghiottii a stento la saliva che colava.

La donna che si occupò di me lo fece quasi brutalmente. M'afferrò per il braccio e mi condusse, attraverso quel corridoio buio, in cortile. Sopra, di finestra in finestra, c'erano fili e biancheria stesa. Nel cortile era accatastato del legname; dentro un laboratorio a battenti aperti strideva una sega e schizzava la segatura. Accanto alla porta che dava in cortile sporgeva un rubinetto. La donna lo aprì, mi lavò prima la mano e poi mi schiaffò in faccia l'acqua raccolta nel cavo delle mani. Io mi asciugai il viso col fazzoletto.
«Prendi l'altro!». Vicino al rubinetto erano posati due secchi, lei ne afferrò uno e lo riempì. Io pigliai l'altro, lo riempii e la seguii passando per il corridoio. Lei prese lo slancio, l'acqua sguazzò sul marciapiede e il vomito sciabordò nella canaletta di scolo. Mi tolse di mano il secchio e spedì un'altra ondata sul marciapiede.
Tirandosi su, vide che stavo piangendo. «Oh, ragazzino!», disse stupita. Mi strinse tra le braccia. Ero appena un po' più alto di lei: sentii i suoi seni contro il mio petto, avvertii nella stretta dell'abbraccio il mio alito cattivo e il suo sudore fresco, e non sapevo cosa fare con le braccia. Smisi di piangere.
Mi chiese dove abitavo, mise i secchi in corridoio e mi portò a casa. Mi camminava accanto, in una mano la mia cartella, mentre l'altra stringeva il mio braccio. La Bahnhofstraße non è distante dalla Blumenstraße. Lei andava spedita e tanto decisa che mi era facile tenere il passo. Davanti a casa nostra mi salutò e se ne andò.
Quel giorno stesso mia madre andò a chiamare il medico, che diagnosticò l'itterizia. Non so quando raccontai a mia madre di quella donna. Credo che altrimenti non sarei andato a trovarla. Ma per mia madre era naturale che io, non appena mi fosse stato possibile, comprassi coi miei soldi un mazzo di fiori per poi presentarmi e ringraziare. Così, a fine febbraio, andai nella Bahnhofstraße.

© 2009, Garzanti

Bernhard Schlink – A voce alta. The Reader
180 pag., 14,60 € - Edizioni Garzanti 2009 (Nuova biblioteca Garzanti)
ISBN 978-88-11-66613-4

Traduzione di Rolando Zorzi


L'autore



10 marzo 2009 Di Anna Zizola

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