Le recensioni di Wuz.it

Firmino. Avventure di un parassita metropolitano di Sam Savage

"All'inizio mangiavo lasciandomi guidare solo e soltanto dal gusto, rosicchiando e masticando dimentico. Ma ben presto cominciai a leggere, qua e là, lungo i bordi dei miei pasti e, con il passare del tempo, quanto più leggevo tanto meno masticavo finché, in ultimo, presi a dedicare quasi tutte le ore di veglia alla lettura, masticando solo nei ritagli di tempo. Oh, come mi rammaricai allora di tutti quei buchi spaventosi! In alcuni casi, quando non c'erano altre copie disponibili, dovetti attendere anni per colmare le lacune. Non ne vado fiero."

"Non ne potevo piú di topi. Sono ovunque: al cinema, in televisione, nei fumetti, nelle fogne sotto casa. Poi ho conosciuto Firmino.
Solo un topastro sfigato e malinconico come lui mi poteva rimettere in pace con il mondo dei roditori". 
Questa la frase che Niccolò Ammaniti scrive per la quarta di copertina di un libro davvero originale. Effettivamente Firmino è un intellettuale raffinato, un filosofo romantico, un piccolo genio ma anche un roditore, e quanto rosicchia!
Eppure l'autore ha dichiarato in un'intervista che la sua idea è nata prima che il personaggio principale si scoprisse topo
"Ho avuto la sensazione completa della voce prima di realizzare che fosse la voce di un topo. Si potrebbe dire che sapevo chi Firmino fosse prima di sapere cosa fosse."
Del resto Firmino è sotto tutti gli aspetti umano, tranne che per la forma del corpo, per la dieta e per la durata della sua esistenza: uno strumento, un tramite più che un artefice.


Savage, autore totalmente sconosciuto prima della pubblicazione di questo romanzo, edito in prima istanza negli Stati Uniti da una piccola casa editrice no profit con una tiratura di mille copie e in seguito diventato un caso letterario e un titolo conteso dagli editori più prestigiosi in tutto il mondo (nonché eletto miglior libro dell'anno dall'American Library Association; miglior esordio da Barnes and Noble; miglior debutto dal Library Journal) ha trovato di fatto una formula vincente per farci conoscere, amare e leggere quello che ha conosciuto, amato e letto: lo racconta rapidamente in una storia, senza annoiare il lettore, senza travolgerlo con citazioni troppo dotte. E così le frasi dei grandi romanzi della letteratura - così come le trame e gli autori -, scorrono pagina dopo pagina formando a loro volta un nuovo romanzo, un gioco a incastro fatto di tanti tasselli che a volte sembrano formare un unico disegno ma che in altri punti si scompongono di nuovo.

Firmino è un topo, tredicesimo di tredici fratelli, nati negli anni Sessanta in una tana di fortuna ricavata dalla mamma Flo ("una specie di ubriacona") nello scantinato di una libreria a Boston. Non c'è nulla da mangiare in questo rifugio, se non i tanti, tantissimi libri polverosi raccolti sugli scaffali. Carta, un mare di carta, con cui costruirsi un rifugio caldo e di cui cibarsi.


Come possiamo restistere a frasi come: "La mia cara Flo ha ridotto in coriandoli Finnegans Wake. Joyce era Un Grande, forse il Più Grande. Io sono stato sgravato, deposto e allattato sulla carcassa defoliata del capolavoro più non-letto al mondo"?

Firmino è il più debole, il più gracile dei fratelli e questo segna la sua esistenza sin dal primo giorno. Non ancora svezzato si accorge di essere molto attratto dalla carta stampata, che diventa per lui quasi una droga di cui si deve continuamente cibare, in tutti i sensi. Ben presto scopre di soffrire di ipertrofia lessicale e intuisce che i libri più buoni da mangiare sono anche quelli più belli. E la sua gran fame diventa così anche voglia di capire, di inglobare, di assorbire ciò che in quelle pagine è scritto. Parole che può leggere e pensare ma che, a causa della sua realtà animale, non può pronunciare. Questa fisicità limitante lo rende uomo solo spiritualmente, mentre la
sua voglia di letteratura lo condiziona facendo di lui un topo solo. Alienato dalla sua famiglia e incapace di comunicare con gli umani che ama e mitizza (a partire da Norman, il proprietario della libreria, destinato a deluderlo fortemente), Firmino presto realizza che un topo letterato è un topo abbandonato.


Certo non può vivere la sua intera esistenza nella libreria e, giunto all'idea di non mangiare più quei libri così importanti, è costretto a uscire per procurarsi il cibo e così scopre che le storie possono anche essere raccontate in un film. 
Il cinema, ricco di caramelle e pop corn da sgranocchiare, diventa una passione al pari della letteratura, Fred Astaire il suo "faro" e Ginger Rogers una delle sue "Bellezze" umane di cui si innamora. E poi c'è Jerry, uno scrittore, ma non voglio anticiparvi il suo ruolo.
Come spesso accade nelle storie legate alle piccole librerie, anche questa dovrà cedere il passo alla modernità e verrà addirittura abbattuto il palazzo che la ospitava.
La farsa si trasforma in tragedia, latente lungo tutto il romanzo.

Titolo originale: Firmin. Adventures of A Metropolitan Lowlife
Traduzione di Evelina Santangelo
Illustrazioni di Fernando Krahn

E parlando di topi...
Topi in letteratura
I topo-divi
L'anno del topo


Le prime pagine


I.

   Avevo sempre immaginato che la storia della mia vita, se un giorno l'avessi mai scritta, sarebbe cominciata con un capoverso memorabile: lirico come il «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi» di Nabokov o, se non altro, di grande respiro come il tolstoiano: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». La gente ricorda espressioni del genere anche quando del libro ha dimenticato tutto il resto. Comunque, a proposito di incipit, il migliore a mio avviso non può che ritenersi quello del Buon soldato di Ford Madox Ford: «Questa è la storia più triste che abbia mai sentito». L'ho letto decine di volte, ma ancora mi lascia di stucco. Ford Madox Ford è stato Un Grande.
   Tutta la vita ho battagliato con la scrittura, e non c'è niente che abbia affrontato con più coraggio - sì, questa è l'espressione esatta, coraggio - degli incipit. Ho sempre pensato che, se solo fossi riuscito a scriverne uno buono, tutto il resto sarebbe venuto da sé. Immaginavo quella prima frase come una sorta di grembo semantico ricolmo di embrioni gravidi di pagine non ancora scritte, piccole pepite rilucenti di genialità ansiose di venire alla luce. Da quel vaso magnifico sarebbe stillata, diciamo, goccia a goccia l'intera storia. Che delusione! Esattamente il contrario.
   Non è che non ce ne fossero di buoni. Assaporate questo: «Quando il telefono squillò alle tre del mattino, Morris Monk sapeva ancor prima di sollevare il ricevitore che a chiamarlo era una donna, e lo sapeva: le donne significano guai». Oppure questo: «Un attimo prima di essere fatto a pezzi dai soldati sadici di Gamel, il colonnello Benchley rivide il piccolo casolare imbiancato di calce nello Shropshire e Mrs Benchley sulla soglia insieme ai bambini». O quest'altro: «Parigi, Londra, Gibuti, tutto gli pareva irreale adesso che sedeva tra le rovine dell'ennesima cena del Ringraziamento con sua madre, suo padre e quell'idiota di Charles». Chi può rimanere impassibile dinanzi a frasi di questo tipo ? Sono così pregne di significato, così, oserei dire, commoventi sino all'inverosimile da contenere in sé tutti i capitoli non scritti - non scritti, ma lì. Già lì! 
   Ahimè, in realtà non erano altro che bolle di sapone, illusioni. Ciascuna di quelle frasi meravigliose così cariche di promesse era come un pacco regalo stretto fra le mani di un bambino impaziente. Un pacco in cui non c'erano altro che sassolini e un po' di cianfrusaglie. Ma, oh, com'è allettante quel tintinnio. Lui pensa che siano caramelle! Io pensavo che fosse letteratura. Tutte quelle frasi - come molte, molte altre - si rivelavano infatti, piuttosto che il punto di partenza del grande romanzo ancora non scritto, barriere insormontabili. Capite? Erano troppo buone. Non avrei mai potuto esserne all'altezza. Alcuni scrittori non riescono mai a eguagliare il loro primo romanzo, io non riuscivo a eguagliare la prima frase. Guardate adesso, guardate come ho cominciato questo, il mio ultimo lavoro, la mia opera: «Avevo sempre immaginato che la storia della mia vita, se un giorno...» Buon Dio! «Se un giorno»! Ve ne rendete conto... Senza speranze. Cancelliamolo. 

© 2008, Giulio Einaudi 

Sam Savage – Firmino. Avventure di un parassita metropolitano
179 pag., ill., 14,00 € – Edizioni Einaudi 2008 (Einaudi Stile libero big)
ISBN 978-88-06-19258-7  


L'autore


Sam Savage, nato nel 1940 nel South Carolina, è un esordiente assoluto. 
Ex professore di filosofia, poi meccanico di biciclette, carpentiere e pescatore, ha scritto con Firmino il libro della sua vita.
Pubblicato in America da una piccola casa editrice no profit con una tiratura di mille copie e fuori dal circuito della grande editoria, Firmino ha vinto tutti i piú importanti premi letterari per esordienti negli Stati Uniti.
Dopo l'ultima Fiera di Francoforte è diventato un caso internazionale.




Per curiosità: ecco il confronto tra Firmino e La Bibliotecaria >>>



13 maggio 2008 Di Giulia Mozzato

Firmino. Avventure di un parassita metropolitano

Firmino è un topo nato in una libreria di Boston negli anni Sessanta. È il tredicesimo cucciolo della nidiata, il più fragile e malaticcio. La mamma ha solo 12 mammelle e Firmino rimane l'unico escluso dal nutrimento. Scoraggiato, si accorge che deve inventarsi qualcosa per sopravvivere e comincia ad assaggiare i libri che ha intorno. Scopre che i libri più belli sono i più buoni. E diventa un vorace lettore, cominciando a identificarsi con i grandi eroi della letteratura di ogni tempo. In un finale di struggente malinconia, Firmino assiste alla distruzione della sua libreria ad opera delle ruspe per l'attuazione del nuovo piano edilizio.

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