Le recensioni di Wuz.it

La grammatica di Dio

Stefano Benni

""Poi, una mattina, la città si ritrovò immersa dentro una grande bolla trasparente. La gente respirava a fatica. E volti, parole, iniziarono ad appannarsi...""

Quanto è diventata amara l'ironia di Benni! 
No, non mi dite che è sempre stato uno scrittore ""denso"", che le sue storie hanno sempre avuto un risvolto non solo cinico ma anche doloroso. È vero, ma solo in parte. Qualcosa in lui è certamente cambiata (sarà forse una questione d'età, sarà che a furia di guardare il mondo si diventa pessimisti) e i suoi racconti si sono fatti più bui, più feroci, umoristici ma molto amari, appunto.

Sono storie di atroci solitudini, di disperazione, di morte. 
Si sorride sì, ma alla fine il sorriso si scioglie nell'acido, assieme alle esistenze difficili che Benni ci racconta. E sembra dirci, in questi brevi ritratti, che gli uomini a volte guardano il cielo e cercano Dio, ma lui non guarda mai giù.

Un vedovo rimasto solo con il suo cane arriva a odiarlo così tanto da suicidarsi. 
Uno ""sfigato"" spende tutti i suoi soldi per telefonini che non gli serviranno mai a nulla perché nessuno lo chiamerà. E decide di chiamarsi da solo, ma l'euforia di questa novità non gli basterà per tenere lontana la tragedia.

Solo, anzi, solissimo è anche lo scienziato alla ricerca vana dell'uomo più solo del mondo: gira gira non si accorge che non vive sui monti, né all'Artico ma sta a casa sua.
Totalmente abbandonata una novella Alice sedicenne alla ricerca di un luogo dove dormine nel Paese delle Meraviglie che tanto meraviglioso non è. 
E parlando di favole anche l'Orco cattivo può ritrovarsi solo e indifeso, magari proprio nelle mani di quella ragazzina bionda che voleva aggredire.

Si prosegue così, da un racconto all'altro per chiudere con una storia commovente sulla vecchiaia e la morte.

Un po' Rodari (basti citare la bella favola delle Lacrime, quasi una Torta in cielo) e un po' Calvino - con i tanti Marcovaldo che si aggirano in queste pagine -, Benni ci racconta la vita, ci fa guardare la realtà, ci fa anche sorridere ma soprattutto rabbrividire.


Le prime pagine


                                                                        BOOMERANG


   Improvvisamente, un giorno, il signor Remo iniziò a odiare il suo cane.
   Non era un uomo cattivo. Ma qualcosa si era rotto dentro di lui quando era rimasto vedovo. Aveva perso la moglie e gli era restato il cane, un botole salcicciometiccio, grasso e nerastro, con orecchioni da pipistrello. Si chiamava Bum, ovvero Boomerang, perché riportava indietro qualsiasi cosa gli tirassero, con prontezza e perseveranza.
   Un tempo il signor Remo e Bum avevano fatto lunghe passeggiate insieme e conversato del mondo umano e canino, di Cartesio e Rin Tin Tin. C'era grande intesa tra loro. Ma ora non si parlavano più. Il signore stava seduto in poltrona guardando il vuoto e Bum si accucciava ai suoi piedi, guardandolo con smisurato affetto.
Era quello sguardo di assoluta dedizione e totale fiducia che il signor Remo soprattutto detestava.
   Il mondo non era che perdita, solitudine e dolore. Che senso aveva in questo pianeta orribile quella creatura incongrua, che scodinzolava e uggiolava di gioia, e riempiva del suo peloso, sovrabbondante amore una casa desolata?
   Il padrone iniziò a non dar più da mangiare al cane. Lo lasciava anche due giorni senza cibo. Ma Bum continuava a seguirlo amorosamente. Quando il signor Remo si sedeva a tavola per il suo pasto, il cane non chiedeva nulla, né si avvicinava. Guardava con mite curiosità, e negli occhi aveva scritto: se tu mangi, ebbene anche io mi sazio. E più il padrone si ingozzava, ostentatamente e rumorosamente, più tenero diveniva lo sguardo di Boomerang. E quando finalmente il cane veniva sfamato, non correva frenetico alla ciotola, no... scodinzolava composto e riconoscente come per dire: avrai le tue buone ragioni se mi hai fatto digiunare, ti ringrazio oggi che ti sei ricordato.
   Il padrone, forse avvelenato dall'ultima stilla di rimorso, si ammalò. Gli venne la febbre alta e Bum lo vegliò. Nella notte, quasi nel delirio, il signor Remo si destava e vedeva gli occhi spalancati e amorevoli del cane, e le lunghe orecchie dritte, come antenne. E sembrava dire: anche la morte morderò, padrone mio, se si avvicina a te.
   Nell'anima ormai riarsa del signor Remo, l'odio per quell'amore smisurato crebbe. Non portò fuori il cane per quattro giorni.
   Bum aprì con la zampa la porta del terrazzo e lì pisciò con discrezione. Contrasse il suo metabolismo a venti gocce di urina e un cece fecale ogni due giorni. Non guai, né diede segni di nervosismo, solo ogni tanto guardava il giardino fuori dalla finestra emettendo un piccolo sbuffo, come un sospiro di nostalgia, ma niente più.
   Il padrone guarì e, appena rimessosi in piedi, senza una ragione, tirò un calcio al cane.
   Bum si nascose sotto il letto e il signor Remo si vergognò.
   Lo chiamò, il cane venne. Il padrone gli fece una carezza falsa e forzata e disse:
   - Bum, devo abbandonarti. Mi dispiace. Non riesco più a occuparmi di te. Anzi, ma questo tu non lo puoi capire, ti detesto.
   Il cane lo guardò con infinito affetto e dedizione.
   Perché non lo affidò a un canile o a qualche conoscente? Per pigrizia, anzitutto. Ma anche perché ricordava una frase della moglie. Gli aveva detto: Remo, se io morissi, mi raccomando, non lasciare solo il nostro Bum.
   Allora Remo si era arrabbiato per quella frase: come si poteva dubitare di questo?
   E invece, povera Dora, lei conosceva bene il grumo di cattiveria dentro al cuore del marito.
   Lei lo aveva abbandonato.
   E abbandonando il cane, ora lui si prendeva una folle rivincita sul destino. 

© 2007, Giangiacomo Feltrinelli editore 

Stefano Benni – La grammatica di Dio
182 pag., 11,20  € - Edizioni Feltrinelli 2007 (I narratori) ISBN 978-88-07-01733-9  


L'autore



21 dicembre 2007 Di Giulia Mozzato

La grammatica di Dio. Storie di solitudine e allegria

Un cane troppo fedele che torna sempre come un boomerang dal padrone che lo vuole abbandonare; un potentissimo manager pronto a tutto pur di riunire i Beatles per un concerto; un terzino fantasioso e romantico su uno spelacchiato campo di periferia; un arrogante e irredimibile uomo d'affari; un frate che sceglie il silenzio per sentirsi più vicino a Dio ma viene vinto dalla bellezza di una muta; una perfida vecchietta divorata dall'invidia e dal livore sono solo alcuni dei protagonisti di questa raccolta di racconti, nella quale Benni mostra il lato più curioso, imprevedibile e misterioso della vita.

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