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Attraverso metafore, scrittura incisiva e tagliente, ironia che sfocia a tratti in un nero sarcasmo, Elfriede Jelinek racconta il claustrofobico rapporto di Erika Kohut, un’insegnante di pianoforte di mezz’età, con sua madre. La prima parte del libro si focalizza principalmente sul rapporto quotidiano e a doppio vincolo tra le due donne, con incursioni nella vita giovanile della pianista. Nella seconda parte il carnefice-mamma viene sostituito dal carnefice-amante, il giovane allievo Walter Klemmer. L’autrice usa tematiche e stereotipi della letteratura psicoanalitica solo in forma altamente ironica, infatti il romanzo non è da leggere in chiave né psicologica né sentimentale. Il tutto si svolge in una Vienna sconosciuta, la Vienna del Prater, delle periferie, del manicomio di Steinhof, lontana dalla magnificenza ed eleganza per la quale è conosciuta. La città dei musicisti, dei pianisti in particolare, diventa teatro di devastazione personale, deviazioni sessuali, invidia e vendetta, dove l’arte minaccia il suo creatore.
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