L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Anno edizione: 2012
Anno edizione:
Promo attive (0)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
C’è un’aspetto della Nemirovsky che adoro, il suo essere cruda nel descrivere la verità dei rapporti umani quasi sempre ipocriti e cinici. Quando siamo piccole ci raccontano la storiella del “vissero felici per sempre”, ma la realtà è ben diversa. L’amore fa male, i cuori il più delle volte si infrangono violentemente e spesso i rapporti più veri sono quelli costruiti sulle macerie della sofferenza. Il romanzo è diviso in tre parti e segue un arco di tempo che va dalla Grande Guerra (1912-1918) agli anni di pace che preparano un conflitto anche peggiore del precedente (1920-1936), all’esplodere della Seconda Guerra Mondiale (1936-1941). Protagonisti di questo romanzo sono alcuni personaggi della piccola borghesia francese. Conosciamo Thérèse ancora quindicenne alla vigilia della prima guerra mondiale e la salutiamo alla fine della seconda. Il titolo è emblematico. I contadini in autunno accendono grandi fuochi sui campi mietuti e pieni di stoppe per purificare la terra e prepararla ai nuovi raccolti, così come le due grandi guerre mondiali travolgono e cambiano la vita di Thérese e dei suoi uomini. Inflessibile, duro, a tratti nostalgico, “I fuochi dell’autunno” è una dichiarazione di ostilità nei confronti della Francia, paese che ha tradito l’autrice. Gli opportunisti, i cinici, i passivi sono quelli che la scampano sempre. “Non riesco più a vedere un’anima umana senza cercarci e scoprirvi delle tare e dei vizi. Mi restano così poche illusioni…”, così scriveva. Non credo che sarebbe sorpresa nel scoprire che quelle sue parole rappresentano anche il nostro oggi.
Bellissimo!
Nel 1941, alle soglie della guerra che avrebbe spezzato anche la sua vita, Irène Némirovsky, traccia il profilo di un preciso tipo umano: arrivista, senza scrupoli, faccendiere piccolo borghese, un lupo avido di piacere, cinico e disincantato. La parabola di Bernard Jacqueline, tuttavia, la sua trasformazione, inizia oltre vent'anni prima, nel mezzo della Grande Guerra, dove la Némirovsky apre il sipario di questo piccolo gioiello (appena 233 pagine), I falò dell’autunno. Sono poco più che ragazzi Bernard, Thérèse, Martial, Renèe quando il primo conflitto mondiale irrompe nella loro giovinezza, sbriciolando i sogni, i progetti per l’avvenire, obliterando l’ingenuità. Martial fa appena in tempo a sposare Thérèse e dopo soli due mesi al fronte muore per salvare un commilitone. Anche Bernard si distingue per l’impegno eroico, ma quando la guerra finisce, gli anni di trincee, i sacrifici, il costante olocausto della vita umana, tutto gli appare misero e gretto: non è morto onorevolmente in battaglia; non è morto di stenti e di privazioni e nemmeno si è arricchito come ha fatto Raymon Détang, marito di Renèe. In altre parole si sente un niente, una nullità che nonostante abbia combattuto per la Francia, la Francia ha dimenticato tuffandosi nei lussi e nei lustri dei Roaring Twenties, una menzogna astratta ma lucrativa per chi ha dato un morso a quella mela. E perché, allora, non può essere lui, non può essere Bernard ad assaggiare a sua volta il frutto proibito? Chi glielo impedisce? È la perdita dell’innocenza, il sacrificio della coscienza, il colpo ferale alla moralità e integrità di un popolo che la Némirovsky mette a nudo, cercando – forse – una reazione di causa-effetto per il precipizio morale e umano che fu la Seconda Guerra Mondiale, assumendo la Francia a metafora universale della cecità, del sonno della ragione che favorì l’attecchirsi in Europa dei più cupi nazionalismi, il sorgere di un’epoca che lungi dall'aver appreso la lezione del ‘14 - ’18, si precipitò in una follia persino peggiore.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore