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I Viceré. Ediz. integrale
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I Viceré. Ediz. integrale - Federico De Roberto - copertina
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Viceré. Ediz. integrale

Descrizione


Con "I Viceré" De Roberto raggiunge la pienezza e la forza espressiva del capolavoro. In questo romanzo storico, paragonabile per impianto e grandezza a "I Buddenbrook" di Thomas Mann, l'autore crea un equilibrio perfetto fra la rappresentazione del "decadimento fisico e morale d'una stirpe esausta" e le vicende dell'unificazione italiana. Il libro racconta la saga di una grande famiglia aristocratica siciliana di ascendenza spagnola, gli Uzeda. A partire dalla fatidica morte della capostipite, le vicende familiari si dipanano sullo sfondo di una Sicilia feudale e borbonica; e d'altra parte, la storia della Sicilia e dell'Italia entra, a poco a poco ma inarrestabile, nel recinto familiare.
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Dettagli

2014
Tascabile
22 maggio 2014
509 p., Rilegato
9788854165564

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 4/5

Questo scrittore siciliano, contemporaneo di Verga e di Capuana, non ha avuto la fortuna e la notorietà che avrebbe meritato. La storia, in parte ispirata alla Famiglia del Principe di Paternò, narra la saga della nobile famiglia siciliana degli Uzeda nella seconda metà del XIX secolo, nel periodo storico del passaggio dal Regno delle due Sicilie al Regno d'Italia. Unitamente ai "Malavoglia" di G. Verga "I Vicerè" rappresenta uno dei capolavori del Verismo Italiano.Alla fine, chiusa l'ultima pagina del libro, I Viceré spiega meglio di qualsiasi saggio molti dei motivi per cui l'Italia e la Sicilia sono ancora, a quasi 150 anni di distanza, un autentico calderone di inciviltà, miserie umane, prepotenze della politica autoreferenziale e diritti negati ai fessi che ancora credono a questa mitologica "nazione unita". Una nazione di avvoltoi che professa il bene comune ma continua a farsi rigorosamente i fatti propri.

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Cristina Alessi
Recensioni: 5/5

L'opera di De Roberto sembra essere stata relegata in un angolino, complice il giudizio negativo di Benedetto Croce, il giudice supremo degli affari della letteratura italiana, eppure non ha assolutamente nulla da invidiare ai più titolati scrittori siciliani come Verga o Pirandello, come ebbe poi a sottolineare un altro conterraneo dello scrittore, Leonardo Sciascia, che si spinse oltre e sostenne che dopo i Promessi Sposi di Manzoni nell'empireo dei romanzi italiani I Viceré meritasse un posto di prim'ordine e maggiore considerazione. Non posso fare a meno di accordarmi al parere di Sciascia, il solo aver pensato un romanzo di tale portata è ammirevole ma essere riusciti a portarlo su carta ha dello straordinario, la prosa fluida, in cui è da apprezzare la capacità di De Roberto di costruire grandi architetture sintattiche che però hanno la capacità di librarsi leggere e avviluppare il lettore e immergerlo nella storia. Non una parola di più né una di meno di quelle necessarie, fiorita di alcuni "sicilianismi" che da siciliana e apprendista linguista non ho potuto far altro che notare e gustare. Le vicende della famiglia Uzeda, dei suoi fasti e della sua grettezza, non sono altro che il racconto di un’Italia che non sembra essere poi così lontana da quella attuale: le sue corse folli e cieche verso il progresso e il cambiamento che sembrano costantemente lasciare indietro chi dovrebbe esserne il fautore e allo stesso tempo colui che dovrebbe godere delle “novarum rerum” che questo cambiamento dovrebbe portare con sé. Eppure come nota lo stesso Consalvo Uzeda, il personaggio più disincantato e per questo onesto fino alla disonestà e alla brutalità, ai Borboni possono essere succeduti i Savoia, all’ancien régime una monarchia costituzionale, ma le cose cambiano per non cambiare e coloro che erano al potere e godevano dei privilegi saranno sempre quelli al comando. Possono cambiare i nomi che si danno alle cose ma non coloro che ne muovono i fili. Una filosofia “gattopardiana”, quel cambiare tutto per non cambiare niente ormai passato alla storia e dovrebbe far riflettere come un’uguale filosofia si ritrovi in due romanzi di due scrittori siciliani, come se la Sicilia avesse potuto funzionare da cartina tornasole per la neonata nazione (ma forse anche per quella di 150 anni dopo) ma si è preferito ignorare, per nascondere le storture sotto un ricco tappeto, un po’ come si fa con la polvere quando si vuole far trovare agli ospiti (ospiti sabaudi in questo caso) tutto in perfetto ordine, però la polvere lì rimane e lì continua ad accumularsi… I Viceré non è certo romanzo in cui spicchino figure in cui riconoscersi o a cui voler rassomigliare, tutto il contrario, non c’è nessuno che meriti di essere salvato e chi lo meriterebbe è il primo ad essere brutalmente schiacciato dall'accalcarsi sgomitante di chi pensa solo “alla roba”, ad una discendenza dal sangue marcio da continuare a portare avanti, a vecchi privilegi da difendere anche a discapito di ogni affetto e legame di sangue. Dalla vecchia principessa Teresa all’ultimo virgulto dei principi di Francalanza assistiamo ad una girandola di personaggi che begano e lottano per ottenere quello che vogliono, a qualunque costo, per poi, una volta ottenutolo, gettarlo via e continuare la lotta per riportare le cose allo stato precedente. I personaggi sono molti, ma alcuni vengono seguiti marginalmente e la lente di De Roberto si concentra, per blocchi, su delle figure tipo: il viziato Conte Raimondo, l’odiato e superstizioso Principe Giacomo, il furioso ma simpaticissimo, in una famiglia dove di simpatico non c’è praticamente nessuno, Don Blasco, la “Santa” Principessina Teresa costretta a dividersi tra l’obbedienza ad ogni costo insegnatele sin da bambina e la voglia di essere artefice del proprio destino, e infine e soprattutto Consalvo Uzeda, il più spietato di tutti, un diavolo a cui è impossibile affezionarsi ma anche l’unico capace di comprendere che se i tempi cambiano, anche se solo apparentemente, l’unica cosa possibile da fare è cambiare con loro senza star troppo a sottilizzare sulla morale e l’etica ma gettandosi a capofitto per costruirsi la maschera più adeguata per continuare ad andare avanti, certi che il sangue e il privilegio costituiscano sempre una via preferenziale e sicura per raggiungere il successo. A fargli da contrappunto la figura malinconica e romantica del cugino Giovannino che come Consalvo non si adatta al modo di vivere e pensare della propria famiglia ma, a differenza del principino, non riesce a dissimulare il proprio malcontento, complice anche il fatto di essere semplicemente un secondogenito senza alcuna prospettiva, e a cui non resterà che pagare un prezzo altissimo per la propria libertà. Lasciate da parte le follie e le monomanie dei parenti, Consalvo riuscirà ad imporsi e alla vecchia zia filoborbonica consegnerà a voce quello che può essere considerato il manifesto e punto focale di tutto il romanzo: “Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa.”

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SERGIO CONTI
Recensioni: 5/5

è un romanzo capolavoro!!!! da non perdere. meglio, nel suo genere, de Il Gattopardo, e penso che Thoma Mann si sia ispirato a lui per scrivere i Buddenbrock. leggendo questo libro capisci tante cose del nostro paese e perchè siamo ridotti così, specie il nostor merdidione

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Recensioni

4,75/5
Recensioni: 5/5
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Conosci l'autore

Federico De Roberto

1861, Napoli

Di madre siciliana, studiò all’istituto tecnico di Catania, città nella quale dimorò quasi sempre, salvo un decennio (1888-97) fondamentale per la sua formazione, trascorso a Firenze e a Milano. Amico di Giovanni Verga e di Luigi Capuana, aderì subito al verismo; nel contempo subì però anche l’influsso dello psicologismo di Paul Bourget. L’alternanza, o la compresenza, delle due suggestioni si estese in tutta l'opera di De Roberto, determinando alcuni squilibri sia delle raccolte di novelle (La sorte, 1887; Documenti umani, 1888; Processi verbali, 1890), sia dei numerosi romanzi della giovinezza e della maturità (Ermanno Raeli, 1889; L’illusione, 1891; Spasimo, 1897; Messa di nozze, 1911).Soltanto nel capolavoro, il romanzo...

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