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Anno edizione: 2014
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Ira Domini è la seconda avventura del notaio criminale Niccolò Taverna , un giallo storico che avvolge il lettore dalle prime righe fino alla fine del racconto, autore coinvolge il lettore come parte dalla storia . è come ritrovare dei vecchi amici ,la grande capacità descrittiva di Forte coinvolge il lettore in un medioevo dettagliato , e le indagini del personaggio ricordano csi approssimato .
Dopo l'ottimo "Il segno dell'untore", finalmente una nuova indagine (anzi, doppia) per il notaio criminale Niccolò Taverna. Personaggi molto ben caratterizzati, sia per quanto riguarda le vecchie conoscenze che per le new entry, una trama gialla ben congegnata dalla mano sapiente dell'autore, una Milano del 1576 suggestiva e molto ben descritta che funge da ambientazione, rendono questo nuovo romanzo di Franco Forte non solo un acquisto obbligato per chi ama il giallo storico, ma anche una scelta consigliata per chi semplicemente è alla ricerca di buona narrativa.
Ira Domini, il seguito di Il segno dell’untore, non smentisce il fatto che, normalmente, in un ciclo di opere con la stessa tematica e i medesimi protagonisti, tutte quelle successive alla prima ne sono inferiori. Nel caso specifico, poi, si evidenzia un netto peggioramento sotto tutti gli aspetti e una disarmonia fra le varie parti che lascia supporre che l’autore si sia accinto a scrivere il romanzo senza aver prima steso un adeguato progetto. Pure in questo ci sono due indagini che procedono appaiate, ma una, relativa a un rapimento con tanto di ostaggi, é banale e mal supportata; l’altra afferente la ricerca di un misterioso balestriere che con la sua arma uccide diverse persone a Milano è in nuce ben più interessante, ma l’autore non le dà né il giusto risalto, né un interessante sviluppo. Il risultato è francamente deludente, tanto più che le soluzioni dei due gialli sono ben poco logiche e paiono affrettate, come se Forte volesse concludere alla svelta quel romanzo che anche per lui cominciava a venire a noia. Ed é proprio la noia che accompagna il lettore più o meno dalla metà dell’opera fino alla fine, vista come una liberazione. Rispetto a Il segno dell’untore la descrizione della città in preda alla peste é raffazzonata e anche i protagonisti sono solo abbozzati, anzi il notaio criminale Niccolò Taverna perde molto del suo smalto, mentre un’eccessiva importanza viene data alla sua fidanzata Isabella, fin troppo volitiva e intrepida e senz’altro fuori dai canoni delle donne dell’epoca, ma gli eccessi, come sempre, danno fastidio e contribuiscono non poco a stancare chi legge, perché il personaggio diventa ben poco credibile. L’impressione complessiva che ho ricavato è che l’autore, visto il successo di Il segno dell’untore, abbia deciso di dare un seguito prima non preventivato e in tutta fretta, per battere il ferro finché era caldo. Il risultato è purtroppo quello che si evince da quanto ho finora scritto e se è tale da non sconsigliarne la lettura, non è però meritevole da consigliarne la stessa.
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