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Campione Gringo - Aura Xilonen - copertina
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Campione Gringo

Descrizione


In questo mirabolante, picaresco, drammatico romanzo d’esordio Aura Xilonen inventa una lingua nuova e potentissima per tratteggiare una storia in cui non c’è nulla di inventato.

«Un debutto fantastico, maestoso, spettacolare.» - Booklist

«E allora mi viene in mente, mentre i coattoni seguono la bella ragazza per bulleggiarla e sfotterla dicendole cose sozze, che posso andarmene all’altro mondo se do una lezione a tutti quei facching bastardi. Ma sono nato morto e non ho manco un briciolo di paura.»

Liborio parla così. Ed è così che pensa. A sedici anni ha dovuto lasciare il Messico, una terra che non gli ha dato nulla se non pena e istinto di sopravvivenza, in seguito a una rissa in cui, puro incidente, ha ucciso qualcuno. È fuggito sulla rotta seguita da tanti altri, superando a nuoto il Río Bravo, e dal quartiere gringo nel quale è precipitato ora ci racconta la sua avventura. In questo mirabolante, picaresco, drammatico romanzo d’esordio Aura Xilonen inventa una lingua nuova e potentissima per tratteggiare una storia in cui non c’è nulla di inventato: veri sono i problemi sociali, vera la solitudine, vera la miseria dei migranti in un paese dove sempre e sempre di più sono costretti ai margini; ma veri sono anche l’amore, gli incontri, i piccoli miracoli cui vanno incontro. Liborio è un concentrato di tutto questo, ed è nel suo vernacolo colorato e vivacissimo, pungente, efficace che ci descrive i vuoti e le infelicità dell’infanzia, l’arrivo nel- la «terra promessa» e il primo impiego clandestino in una piccola libreria che lo nutre di parole incomprensibili e stupende al tempo stesso. Fino all’incontro con Aireen. È per lei, oltre che per se stesso, che Liborio vuole resistere, e saranno i pugni e i guantoni a indicargli la strada: lì, sul ring, il campione è lui.
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Dettagli

2017
16 marzo 2017
336 p., Brossura
Campéon gabacho
9788817093675
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Indice

Le prime pagine del romanzo

E allora mi viene in mente, mentre i coattoni seguono la bella ragazza per bulleggiarla e sfotterla dicendole cose sozze, che posso andarmene all’altro mondo se do una lezione a tutti quei facching bastardi. Ma sono nato morto e non ho manco un briciolo di paura.
Ne ho avuto da sempre le prove, come poco fa, quando ho spaccato i denti a uno zarro che aveva mollato un apprezzamento pesante alla tipa, e lei, senza dirgli niente, guardava soltanto la strada da dove doveva arrivare l’autobus, e lei tutta a disagio, e ancora di più quando il bastardo le ha brancato una chiappa con le sue dita infestate di batteri. Lì ho mollato gli ormeggi che mi legavano al bancone della book dove lavoro: ho sentito vibrare la polvere attorno a me e sono uscito sparato per rovinarmi i pugni sul suo muso, alla finfine cosa ci potevo perdere se non ho mai avuto niente? Così gli arrivo da dietro, al pischello, e lo colpisco alla caviglia con una scarpata, e lui si piega come un rivolo che scorre su un vetro nei giorni di pioggia, così, lento, e poi gli piazzo con tutte le mie forze un cazzotto olimpico dietro la capoccia.
Zac! Pum! Ciaf! E gli martello sui denti finché non ho visto soltanto la sua massa rossa, grassa, lì, tremante, che misurava il marciapiede con il corpo stravaccato. Per questo c’era già un capannello attorno a me, perché ogni volta che ci sono risse nella street, i coattoni e i fighetti si fanno avanti per vedere da vicino.
Uno dei suoi pischelli mi dice: «Facching, man, a tradimento no; di fronte, indio di merda, da uomo».
E viene verso di me con un paio di coltelli fra i denti, come quei cani che distruggono tutto quello che toccano, e così, senza pensarci su, con lo stesso piede con cui ho fatto piegare il primo, al secondo gli mollo una bazukata in mezzo alle gambe e lo stendo. Prima che cada, gli vedo gli occhi come bianchi; immagino che i coglioni gli siano andati su per il culo fino al cervello. Poi va giù di schianto con il naso a terra.
Nel facching capannello nessuno ha più voluto fare il furbo con me, e vedevo che mi fissavano soltanto, lividi, nani, come piegati dal peso dell’aria.
A quel punto ho cercato di vedere la tipa, chennesò, per controllare se stava bene, ma non l’ho vista. C’erano tanti zarri che non sapevo se era passato l’autobus, o se qualche tipo se l’era tirata di lato per portarsela verso i vicoli in fondo, lì dove le case sono nidi di topi.
Una negra che aveva visto tutto il casino che avevo fatto si avvicina e mi tira per il braccio, togliendomi via dal capannello di gente mentre alcuni di loro cercavano di fare aria ai due stramortiti sul marciapiede; la negra mi trascina fino all’angolo e mi dice: «Mamma mia, faccia di culo, la finisci di sfruculiare il vespaio? Squagliatela o si mette male, ché qui non ci duri manco tre secondi».
Ma io mi stacco dal braccio della negra e la lascio piantata all’angolo a parlare da sola, e attraverso la strada verso la libreria per continuare a servire le mosche.

Conosci l'autore

Aura Xilonen

è nata in Messico nel 1995 ed è cresciuta in Germania. Studentessa di cinema, scrive e dirige film e cortometraggi. Campione gringo è il suo romanzo d’esordio, vincitore nel 2015 del prestigioso premio Mauricio Achar, tradotto e pubblicato in numerosi paesi.

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