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Metti una sera oscena. Cronaca di un incontro con Marco Missiroli

Marco Missiroli non è Nathan Zuckerman.
Ce ne accorgiamo subito quando veniamo accolti nella calda sala riunioni della casa editrice che lancia con orgoglio l’ultimo romanzo del giovane scrittore riminese (classe 1981).
Siamo nella sede storica di Feltrinelli in via Andegari, pieno centro di Milano.

Marco Missiroli non è Zuckerman e neanche Philip Roth e si capisce subito, perché si comporta in maniera socievole e non è affatto impacciato.
Durante l'incontro con i blogger, alcuni creatori di brand abbastanza noti in rete, non rivela alcuna traccia di misoginia, per dirne una.
Anzi, si direbbe molto propenso all’ascolto del parere femminile più di tutti gli altri.

Malgrado ciò, una domanda sull’influenza che ha avuto l’opera dello scrittore di Newark sulla stesura del suo Atti osceni in luogo privato è inevitabile.
Così com'è inevitabile iniziare questo incontro informale, con live twitting e hashtag rituali (#iosonolibero), discutendo della copertina.

Si tratta della riproduzione di una celebre fotografia di Erwin Blumenfeld del 1967, “Holy Cross (In hoc signo vinces)”. La domanda la fa lui a noi: Che cos’è? Il sedere di una donna? Il sedere di un uomo? Un divano? Che effetto vi fa?

L’effetto è destabilizzante, questo è certo, e forse anche imbarazzante, ma capiremo chiacchierando con l’autore che l’imbarazzo è un sentimento che non ci possiamo permettere.
Partiamo dalla trama: il libro si apre con il racconto dell’esistenza del giovane protagonista del libro, Libero Marsell, dodicenne che da pochi giorni si è trasferito con la sua famiglia da Milano a Parigi.
L’atmosfera che si respira scorrendo le prime pagine è subito quel frizzante fermento tipico di una famiglia agiata degli anni Ottanta che vive in un quartiere “bobo”, bourgeois bohémien, di Parigi (o come si direbbe a Milano, “Radical Chic”).
Catapultato in un tale caleidoscopio di sensazioni, Libero verrà presto sconvolto da alcuni eventi fondamentali: prima scoprirà la sessualità e l’autoerotismo, poi l’impegno politico attraverso la morte di Jean Paul Sartre e infine la fragilità umana, dopo la dolorosa separazione dei suoi genitori.

Siamo insomma al cospetto di Monsieur le roman d'apprentissage: il romanzo di formazione (lo scrivo in francese perché nel corso del racconto le parole più importanti sono tutte in francese, libri e canzoni comprese, il che rende il testo più joyeux, più brioso).
Queste scoperte esploderanno nell’animo del giovane protagonista con un effetto detonante e sarà solo grazie al suo sogno proibito, Marie De Lafontaine, bibliotecaria più vecchia di lui di 15 anni, che Libero troverà la sua rotta, attraverso l’amore per la letteratura.

Dallo Straniero di Camus, al Deserto dei tartari di Buzzati e via via con Maugham e Carver, in queste pagine i libri, i film e le canzoni si alternano a formare quel mosaico umano che da sempre riflette la complessità di ciascuno di noi.
Un processo che Marco Missiroli sa decostruire e descrivere con un’abilità notevole.
Quelli parigini saranno per Libero anni di scoperte e di delusioni, anni in cui vagare, innamorarsi, tentare, rinunciare, perdersi.
Fino alla decisione di abbandonare tutto per trasferirsi di nuovo a Milano.

La seconda parte del romanzo, quella della maturità per così dire (visto che il protagonista è ancora un ragazzo), è ambientata a Milano.
Il cielo cobalto di Parigi lascia allora il posto al grigio, allo studio legale, a donne sole e depresse che elemosinano affetto senza riuscire a distillarne neanche una goccia.
Sono anni senza letture, sprecati in sesso compulsivo e senza vie di fuga.
Ma Milano è anche altro. Libero inizia a lavorare in un’osteria sui Navigli, dove trova un grande amico, Giorgio, il personaggio più riuscito di tutto il romanzo. È in questa città malinconica che Libero elaborerà il dubbio che percorre le pagine di tutto il libro: è possibile conciliare l’osceno con la vita?

Scritto in 21 giorni, corretto nel corso di un anno, Atti osceni in luogo privato è un romanzo dal groove trascinante, la cui prosa rivela un ritmo molto raro nella produzione contemporanea.
Scene sessuali, masturbazione, fellatio e perversioni varie vengono descritti senza mai cadere nel volgare, con una scelta dei termini che denota una grande attenzione per la sensibilità del lettore.
Quello che conta per l’autore, evidentemente, non è suscitare pruriti ma descrivere personaggi.
E qui torniamo a Philip Roth che, come ammette l’autore stesso, viene citato più volte. La cosa non ci disturba più di tanto.

Ci disturba maggiormente ciò che invece si discosta, e radicalmente, dalla poetica di Roth. Ad esempio il finale: annacquato e precocemente risolutivo di un conflitto che sarebbe stato bene mantenere vivo fino in fondo.
Si tratta di una piccola falla che si inserisce nel contesto di un romanzo scritto bene, a tratti anche commovente.
Non la esplicitiamo durante questo fulminante incontro con l’autore, che ci sembra troppo galvanizzato per accogliere critiche di qualunque tipo, e giustamente.
Dopo quattro romanzi di successo ci sembra che il passaggio di editore e il passaggio dalla terza alla prima persona siano un buon viatico per un salto di categoria.
L’esame di maturità, insomma, è superato.
Ma quello, come sanno tutti, è solo l’inizio.


Articolo di Annalisa Veraldi 

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