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Nell'ultimo Miyazaki si alza il vento della poesia, fra Valéry, Thomas Mann e i pionieri del cielo

""Si alza il vento, bisogna tentare di vivere"" (Paul Valery)

Una storia per prendere congedo dai moltissimi ammiratori che questo grande artista si è guadagnato, nel corso degli anni in tutto, il mondo.
Una storia per conquistarne di nuovi, grazie alla poesia leggera di cui è imbevuto ognuno dei tantissimi fotogrammi che scorrono sullo schermo.
Una storia simile ad alcune di quelle che l’hanno preceduta, eppure inconfondibile e unica, compendio perfetto della poetica di un autore che prende per mano i bambini e finisce per essere seguito anche dagli adulti.
Chissà se “Si alza il vento” finirà davvero per essere l’ultimo lungometraggio animato partorito da Hayao Miyazaki col suo Studio Ghibli.

Speriamo di no, speriamo di avere ancora occasione per ritagliarci un tranquillo spazio di sogno nelle sale cinematografiche, negli anni a venire; ma quel che è certo è che se questo dovesse essere effettivamente il commiato da una carriera artistica lunga più di quarant’anni, beh, non si potrebbe poi obiettare granché.
Già. Perché in “Si alza il vento” ci sono tutti gli ingredienti che hanno reso proverbiali le torte cucinate da Hayao Miyazaki (leggi qui un’intervista esclusiva concessa a Wuz dal grande regista in occasione dell’uscita di “Ponyo sulla scogliera”, nel 2008), e come al solito c’è anche quell’ingrediente segreto che rende ogni suo film un po’ più universale e emozionante di tutti gli altri film d’animazione si possano vedere.

La storia raccontata nel film segue la vita del signor Jiro, ingegnere aeronautico di calviniano nitore che muove i suoi passi nel Giappone del periodo compreso fra le due guerre mondiali.
Jiro è un sognatore di talento, e nel corso delle sue molte trasvolate oniriche – rese ancor più flou dalla sua incipiente miopia – intrattiene un dialogo che durerà tutta la vita con Italo Caproni, pioniere dell’ingegneria aeronautica italiana modellato sulle fattezze del (quasi) omonimo Gianni Caproni.

I venti che fanno levare in volo gli aerei, però, sono carichi di cordite e rumori di tuono: la guerra non c’è ancora, ma è come se fosse già dappertutto.
Jiro insegue il suo sogno, che è quello di progettare degli aerei sempre migliori, a dispetto dell’uso cui verranno effettivamente destinati.
Ma non si creda alla polemica che è stata pretestuosamente sollevata: il film di Miyazaki è un urlo contro la guerra.

Sulla fragilità di un mondo destinato a scomparire, danzano con levità figurine di grandissimo spessore umano, e tutto quel che accade nei centoventisei minuti di racconto è riconducibile alla stessa filosofia che sottendeva un apologo decisamente antimilitarista come “Il castello errante di Howl”, ad esempio.

Come a volte accade ad alcuni grandi disegnatori, anche in Miyazaki il segno si è rarefatto con l’avanzare del tempo e dell’età.
Ma il miracolo è che un tratto così potentemente descrittivo non perda la sue qualità narrative anche se spogliato di ogni orpello.
Le linee somigliano sempre più alla curva disegnata dalla lisca di pesce che Jiro ammira, rapito, ogni volta che mangia uno sgombro.
L’essenzialità - soprattutto quella che informa i personaggi e i loro tratti, diventa uno spazio d’inclusione e punta diritto a quella “linea chiara” che nel fumetto belga e francese degli anni quaranta fu accolta come una folgorazione, e che continua a somigliare a una strada maestra.

La lotta che sottende tutto il film è quella combattuta fra la terra, e l’attrazione che essa esercita con forza su ogni cosa, e quell’istante in cui la gravità è vinta, e si comincia a librarsi nell’aria.
In Miyazaki il volo è spazio di confine fra il reale ed il sogno, sin dai tempi del suo “Castello nel cielo”.
Ma in “Si alza il vento” le acque si confondono come non mai, sin dalla bellissima sequenza d’apertura che ci presenta il protagonista ancora bambino, ma già guidato da una vocazione certissima e potente.

Seguiamo una storia lunga molti anni come la sorvolassimo a volo d'uccello, avvicinandoci ai suoi protagonisti per vederne mutare gli umori, cambiare le aspettative, fare i conti con la vita, e infine rendersi conto della propria impotenza a cambiare tutto quel che non va in questo mondo.
Un mondo, oggi come allora, di uomini capaci di inventare aeroplani bellissimi, e di usarli poi per spargere distruzione e morte fra i propri simili.Un giocoso ritratto di Miyazaki in mezzo ad alcune sue creature di fiction

I libri dietro il film.

“Si alza il vento, bisogna tentare di vivere”.
È tratta dall’ultimo verso del meraviglioso “Cimitero marino” di Paul Valéry la frase che dà il titolo al film, ma in “Si alza il vento” non mancano altri riferimenti alla cultura e alla letteratura europea della prima metà del Novecento.
Il cameo più eclatante, in questo senso, è forse quello appena dissimulato nella parte ambientata nella località di montagna nella quale Jiro va a riposarsi dopo il fallimento del suo primo progetto in qualità di direttore tecnico. Qui, infatti, oltre a rincontrare la ragazza che aveva soccorso durante il terribile terremoto di Tokyo, tanti anni prima, il nostro s’imbatte in un ingegnere tedesco che sta passando una vacanza presso la stessa struttura.
Colto, ironico e dotato di un eloquio ambiguo e affascinante, nel corso di una conversazione avuta con Jiro una sera, fra una sigaretta e l’altra il signore misterioso troverà modo di evocare il mondo di cui è rappresentante esemplare e che, ne è certo, sta scomparendo per sempre.

Basta una sigaretta giapponese per dimenticare “il governo di mascalzoni” presieduto dal cancelliere Hitler, o tutte le delusioni per una nazione che è uscita dal consesso della società delle Nazioni?
Forse no, ma le parole pronunciate con aria disillusa dall’uomo assumeranno un valore decisamente diverso solo in seguito, quando scopriremo che il nome di questi è “Castorp”, proprio come il protagonista della “Zauberberg” (la montagna incantata) di Thomas Mann.


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