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Scrittura e corsa: ne parlano Murakami, Covacich, Mancassola, Osimo

Esistono analogie tra scrittura e corsa? Tanti scrittori che amano correre sostengono fermamente di sì. Molti praticano con regolarità questo sport. Per alcuni è semplicemente uno sfogo dalle ansie quotidiane, per altri è un momento di pura concentrazione. Per altri ancora è una passione che è diventata un vero e proprio stile di vita.
Scrivere e correre: in entrambi i casi, significa porsi degli obiettivi, lavorare sodo per raggiungere un traguardo. Per scrivere, come per correre, serve disciplina, dedizione, costanza, motivazione.


Il caso più noto è quello di Haruki Murakami, che alla passione per la corsa ha dedicato pagine molto intense, in cui si mette a nudo e racconta gli inizi della carriera di scrittore e atleta. Come è iniziata? Nel 1981 Murakami decise di dare un taglio netto alla sua vita per dedicarsi solo alla scrittura. Chiuse il Peter Cat, il jazz bar che aveva gestito nei precedenti sette anni, e pensò anche che fosse giunto il momento di cambiare radicalmente abitudini di vita. Scrivere è un lavoro sedentario; per questo motivo decise di smettere di fumare sessanta sigarette al giorno e di iniziare a correre regolarmente. Da allora non ha più smesso, né di scrivere né di correre. Di solito scrive quattro ore al mattino e corre una decina di chilometri il pomeriggio.
Qualche anno più tardi, su invito di una rivista, si recò in Grecia e corse per la prima volta la maratona. Da allora ha partecipato a ventiquattro competizioni, ma anche a una ultramaratona e a diverse gare di triathlon.
Scritto nell'arco di tre anni, L'arte di correre (What I Talk about When I Talk about Running) è un autoritratto e una profonda riflessione sulle motivazioni che ancora oggi spingono Murakami a sottoporsi a questa intensa attività fisica. Scrivere, sostiene Murakami, è ""un'attività pericolosa"", una perenne lotta con i lati oscuri del proprio essere; per questo, correre diventa una vera e propria strategia di sopravvivenza, indispensabile per eliminare le tossine che, nell'atto creativo, si determinano nell'animo di uno scrittore. Al tempo stesso, il libro propone anche illuminanti squarci sulla corsa in sé, sulle fatiche che essa comporta, sui momenti di debolezza e di esaltazione che chiunque abbia partecipato a una maratona avrà indubbiamente provato.
Una curiosità: la musica è una componente costante negli allenamenti di Murakami, così come lo è nei suoi romanzi. Tra gli altri, nel suo lettore di MiniDisc troviamo Lovin’ Spoonful, Red Hot Chili Peppers, Gorillaz, Beck, Creedence Clearwater Revival, Beach Boys, Carla Thomas, Otis Redding.


""Mi viene spesso chiesto a che cosa penso quando corro. Di solito la gente che mi chiede questo non ha mai corso lunghe distanze. Indugio sempre su questa domanda. A che cosa penso esattamente quando corro? Non ne ho idea. Nei giorni freddi credo di pensare un po’ a quanto freddo faccia e nei giorni molto caldi al calore. Quando sono triste penso un po’ alla tristezza. Quando sono felice penso un po’ alla felicità. Come ho accennato prima, ho anche ricordi casuali. Occasionalmente, quasi mai a dire il vero, mi viene un’idea da usare per un romanzo. Ma davvero, mentre corro non penso a niente che sia degno di essere menzionato.
Semplicemente corro. Corro in un vuoto. O forse dovrei metterla in un altro modo: corro in modo da acquisire un vuoto. Ma come potreste aspettarvi, ogni tanto un pensiero scivola dentro questo vuoto. La mente non può essere completamente assente. Le emozioni degli esseri umani non sono abbastanza forti e costanti da sostenere il vuoto. Ciò che intendo dire è, che i tipi di pensieri e idee che pervadono le mie emozioni mentre corro rimangono subordinati a quel vuoto. Privi di contenuto, essi sono dei pensieri casuali che si radunano intorno al quel vuoto centrale.
I pensieri che mi raggiungono mentre sto correndo sono come nuvole nel cielo. Nuvole di tutte le dimensioni. Vanno e vengono, mentre il cielo rimane il solito cielo di sempre. Le nuvole sono semplici ospiti nel cielo, che passano e svaniscono, lasciandosi dietro il cielo. Il cielo esiste e non esiste, esso ha sostanza e al tempo stesso non ne ha e noi mestamente accettiamo quella vastità e ne siamo affascinati"".

Ecco, forse è proprio l'estraneazione di cui ci parla Murakami uno degli affascinanti misteri della corsa: l’abbandono totale alla fisicità pura, l’immersione della mente nel corpo fino all'approdo in un vuoto liberatorio, che regala una sensazione di inspiegabile appagamento. Il pensiero ammutolisce di fronte allo sforzo fisico e lascia spazio a una condizione di leggerezza psichica che sfiora lo stato di grazia.


Mauro Covacich ha raccontato la sua passione per la corsa attraverso Dario Rensich, ex maratoneta diventato performer d'arte protagonista dei suoi romanzi A perdifiato (2005), Fiona (2005), Prima di sparire (2008). A quest'ultimo romanzo segue la realizzazione di un'installazione video (realizzata per la Fondazione Claudio Buziol di Venezia in collaborazione con la Giulio Einaudi Editore e il Magazzino d' arte moderna di Roma), dal titolo L'umiliazione delle stelle, come la performance artistico-sportiva che l’autore ha immaginato per Rensich: qui Covacich si mette a nudo e presta il suo corpo al personaggio a una maratona su tapis-roulant. Ne viene fuori un romanzo visivo non tradizionale, ""un libro scritto con il corpo"", lungo 42 chilometri e 195 metri, quanto una maratona. È un estremo tentativo di disvelamento, di ricerca di autenticità nella corporeità e nel dolore: un gioco di specchi che è un interessantissimo viaggio dentro la finzione.





In un'intervista Covacich ha dichiarato: ""La maratona è una sorta di credo permanente: basta aver corso volta soltanto per sentirsi maratoneti a vita. Un po’ come per la psicanalisi. Sì, la considero una forma di arte marziale, una disciplina interiore. Lo è intrinsecamente. Per gli allenamenti che richiede, per il modo in cui ti porta a percepire l’ambiente, per lo sforzo che esige dal tuo corpo. Il maratoneta è un samurai con le scarpette al posto della spada: è estremamente severo verso se stesso, non si perdona mai, è costantemente in lotta contro i propri limiti… Sbaglia chi pensa alla maratona come a una scelta sportiva, è una disciplina massimamente estetica. È proprio una visione del mondo: non sono solo quei quarantadue chilometri da correre nel minor tempo possibile, è l’idea di resistere, di andare oltre…""


Marco Mancassola
racconta il suo rapporto tra scrittura e corsa in un testo che si sofferma sul mistero del corpo e sulla leggerezza di calviniana memoria:
""Il mio corpo è tiepido e pesante quando al mattino lascio le coperte. Mi sciacquo il viso con l’acqua fredda e assorbo l’aroma di un caffè, scruto inquieto il cielo oltre la finestra. Infilo un paio di scarpe da corsa ed esco ad affrontare la nebbia del mattino, respirando forte nell’odore dell’inverno, spingendo i muscoli oltre la barriera dell’inerzia e del loro primo, indignato bruciore. Gli alberi assistono muti a questa prova. Il sentiero lungo il fiume è sterrato e pieno di buche, di improvvisi dislivelli, e conosco il punto in cui per superare un fossato devo prendere la rincorsa e spiccare un salto, ogni volta, restando nell’aria per una frazione di secondo. Non è certo un grande salto. Ma è abbastanza per avvertire lo stacco, la sospensione, abbastanza per sentire il mistero di questo corpo, il mio corpo ansimante, con questi muscoli brucianti, le gambe in tensione, il mio pene rattrappito per il freddo, questo corpo che si libra e sorvola la terra, sfidando il terrore di ogni caduta. Atterro. Continuo a correre. Credo che gran parte della mia esperienza non solo di atleta dilettante ma soprattutto di scrittore sia in quel momento sospeso, in bilico, in quello stare spaventato e fiducioso nell’aria, aspettando che il piede trovi l’altro bordo del fossato. Nel mio percorso mattutino il salto viene dopo i primi minuti di corsa, al momento in cui il respiro si stabilizza, e segna in genere il confine oltre il quale la mia corsa si fa regolare, spedita e leggera. Allo stesso modo so che quando tornerò a casa e siederò alla scrivania, dopo una doccia gratificante e dopo la colazione, quando insomma accenderò il computer e affronterò la realtà del mio lavoro che è una realtà fatta di pesantissime parole, allo stesso modo verrà un momento, se sarò abbastanza abile e fortunato, in cui spiccherò il mio salto e dopo di esso la scrittura inizierà a fluire, con misteriosa grazia, con stupefacente leggerezza. Ora, questa della leggerezza è un’idea che da sempre ossessiona molti. Leggerezza nella scrittura e della scrittura, una leggerezza insomma che si trasmetta al lettore fino a diventare un elemento fondante della pagina, un vero e proprio valore letterario. Italo Calvino ne scrisse nelle sue famose Lezioni Americane, spesso citate e spesso equivocate, descrivendo come molta parte della storia della letteratura si possa dividere tra il tentativo di trasmettere la pesantezza del corpo, ovvero della stessa esperienza umana, e il tentativo invece di oltrepassare questo peso. Tale oltrepassare non può essere però semplice rimozione: non si diventa leggeri ignorando il corpo, imitando i discorsi delle incorporee realtà televisive, scrivendo senza corpo né densità come hanno fatto tanti scrittori degli ultimi due decenni. Ho sempre creduto che si diventi leggeri conoscendo il peso, vivendolo, spingendolo avanti con faticosa consapevolezza. Si diventa leggeri spiccando il salto"" (Made With Style, gennaio-febbraio 2010).


© Arianna Sanesi
Bruno Osimo va a correre all'alba ogni mattina. Cosa significa per lui correre? Che rapporto c'è tra scrittura e corsa? Mi risponde: ""Per me correre è una pista nella quale i pensieri possono uscire dalla loro sede abituale e saltapicchiare all'aperto, sulla testa e oltre. Non corro per andare veloce, ma per dare al mio cervello un motore acceso al minimo sul quale far scorrere i pensieri. Altrimenti ristagnano, o giocano a nascondino. Invece correndo, la mattina presto, al buio, si sentono autorizzati a uscire (tanto non li vede nessuno).
La lucidità è dolorosa, e correre piano mi serve ad attenuare l'ansia che mi si sprigiona dentro quando osservare il mondo mi dà troppi stimoli. Correre piano è un filtro contro il torrente di novità che fa capolino al mattino.
Un rapporto tra scrittura e corsa c'è, e consiste nel fatto che correre e scrivere sono due momenti della stessa cosa: estraniarsi da sé stessi per cercare di essere autoironici, distaccati. Correre è la fase riflessiva, scrivere quella espulsiva"".




SUL COMODINO DEL MARATONETA...

Alcuni classici sulla corsa:

L’arte di correre di Haruki Murakami (Einaudi 2009)
A perdifiato di Mauro Covacich (Einaudi 2003)
Crampi di Marco Lodoli ne I principianti (Einaudi 1997)
Il cimitero dei pianoforti di José Luis Peixoto (Einaudi 2010)
Parli sempre di corsa di Linus (Mondadori 2010)
La solitudine del maratoneta di Alan Sillitoe (Minimum fax 2009)
Correre di Jean Echenoz (Adelphi 2009)
Il sogno del maratoneta di Giuseppe Pederiali (Garzanti 2008)
Maratoneti di Marco Patucchi (Dalai 2010)



Qualche utile manuale sulla corsa per migliorare la tecnica e le prestazioni:

Voglio correre di Enrico Arcelli (Sperling & Kupfer 2012)
Correre per star bene di Paula Radcliffe (Mondadori 2012)
Andiamo a correre di Fulvio Massini (Rizzoli 2012)




23 ottobre 2012 Di Sandra Bardotti

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