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Intervista a Mario Monicelli

Un vero maestro, un novantenne combattivo, un intelligente interprete dell'Italia di ieri e di oggi


Mario Monicelli nasce a Viareggio il 15 maggio 1915 da una famiglia di origine mantovana, secondo figlio del critico teatrale e giornalista Tommaso. Dopo aver frequentato il liceo classico, si laurea in Storia e Filosofia all’Università di Pisa.
È l'amico Giacomo Forzano, figlio di Giovacchino, fondatore a Tirrenia di moderni studios cinematografici, a introdurlo nel mondo del cinema. A soli vent’anni debutta con I ragazzi della via Pal, in collaborazione con Alberto Mondadori, film a passo ridotto che, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, ottiene un premio.
Per un certo periodo fa l’aiutoregista e lo sceneggiatore e dal 1949 inizia a collaborare con Steno che diventerà con lui il vero fondatore della “commedia all’italiana”; insieme gireranno in quattro anni ben otto film, tra cui Guardie e ladri che vede tra gli sceneggiatori anche firme del calibro di Ennio Flajano e Vitaliano Brancati.


Con Padri e Figli, vince l’Orso d’argento al Festival di Berlino nel 1957, riconoscimento che replica l’anno successivo con I soliti ignoti (fu Monicelli che per primo utilizzò in veste comica Vittorio Gassman). Questo è forse uno dei più geniali film comici italiani grazie anche a una sceneggiatura straordinaria a cui collaborò il regista stesso con Age, Scarpelli e Suso Cecchi D’Amico.
Nel 1959 invece vince il Leone d’oro a Venezia con La grande guerra (premio assegnato ex-aequo con Il generale della Rovere di Roberto Rossellini), film per cui ebbe anche la nomination agli Oscar.
Dopo la nomination per I compagni, uno dei film più schierati da un punto di vista politico sociale (Folco Lulli ottenne anche il Nastro d’Argento come miglior attore), ne ebbe un’altra per un’opera rimasta davvero nel cuore di più generazioni: L’armata Brancaleone (1965).
La quarta nomination agli Oscar gli venne data per La ragazza con la pistola nel 1968. Ricordiamo poi alcune pellicole davvero basilari per la cinematografia italiana: Amici miei (1975), Un borghese piccolo piccolo, Speriamo che sia femmina.
Nel 1991 ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera.
Il suo ultimo film, il sessantacinquesimo, (Le rose del deserto, con Alessandro Haber, Michele Placido e Giorgio Pasotti), che esce in questi giorni, lo ha visto affrontare il caldo del deserto libico per raccontare la storia di una divisione medica mandata allo sbaraglio in Libia nel 1940. La storia è tratta dal romanzo autobiografico di Mario Tobino, Il deserto della Libia.


Lei non desidera che lo si chiami “maestro” eppure tutti lo giudicano tale…
Ci sono buoni e cattivi maestri…

Oggi il genere che lei ha reso celebre, la commedia,  si è piuttosto impoverita e involgarita: secondo lei è uno specchio della nostra società?
Sì, un po’ si è impoverita, ma non saprei se è specchio del sociale anche perché, anche in un’Italia povera, miserabile e in disgregazione, la commedia può trarre alimento da questi mali. Non credo che dipenda tanto dall’Italia – la quale si presenta bene ad essere messa in commedia, anzi sempre meglio! – dipende dagli autori, dai commedianti, però quelli si sembra stiano tornando: giovani autori e giovani attori, e anche giovani registi…
Certo, nel dopoguerra, dopo una sconfitta così dolorosa e il tracollo di una dittatura, c’erano speranze, generosità incredibili che chiedevano di essere raccontati: ma non è che per fare del buon cinema dobbiamo ogni volta perdere una guerra!


Forse il cinema nel dopoguerra aveva maggiori valori da comunicare?


La religione non è solo quella cattolica (che oggi sembra condizionare tutta la cultura in Italia), c’è anche una religione laica e nel dopoguerra, in un mondo regolato da esseri umani che avevano sofferto, che sapevano vivere con gli altri e trarre lezione dai fallimenti avvenuti, il cinema era uno strumento per potersi esprimere e dire quello che si sperava potesse essere un futuro migliore. Allora la spinta non era solo economica, mentre oggi tutto si basa sulla legge del mercato nel suo aspetto più turpe e violento. Ma non voglio essere negativo: il cinema ha ancora una funzione positiva, e questo vale anche per la letteratura, la musica o la danza… Sono tutti strumenti per suggerire rimedi, denunciare il presente e far sperare nel futuro.


Il grande successo intergenerazionale dell’Armata Brancaleone ha avuto un esordio non proprio favorevole…  


È proprio così. In una prima proiezione con una sala affollata, tutta su inviti, e alla presenza di Gassman, finì che lui si mise litigare con il pubblico. Ne venne fuori una serata abbastanza turbolenta perché gli spettatori non erano proprio d’accordo con quel tipo di rappresentazione di un medioevo straccione e becero. Il film fu salvato – e questa è una cosa nota a tutti - dai bambini.


È recentemente uscito anche un libro per bambini che si intitola proprio L’armata Brancaleone: è una specie di omaggio riconoscente a chi aveva decretato il successo del film?

Certo, e poi il film è una favola. I bambini sanno sempre cogliere il messaggio migliore, sanno divertirsi con spontaneità e naturalezza senza pregiudizi.

Lei ha sempre diretto grandi attori: com’è stato il suo rapporto con queste vere star internazionali?


È sempre stato buonissimo. Sì, ho diretto i più grandi attori, in grande quantità, anche ammucchiati insieme in un solo film. Il mio rapporto con loro è sempre stato buonissimo, con grande felicità e facilità, con amicizia e serenità, senza opposizioni o tensioni, salvo che con una - che tra l’altro avevo scoperto io per primo - che è Lea Massari. Una bravissima attrice, molto fine e delicata, però nel primo film che fece con me, (l’avevo scelta che faceva ancora il liceo) lei mi contestava continuamente, voleva sapere di più su tutto… insomma, mi dette un po’ noia!

E il suo ultimo film?

Si intitola Le rose del deserto, è un film che ho girato in Africa, sulla guerra di Libia, ed è tratto da un libro, quello di Tobino, Il deserto della Libia. È un film che è collocato durante la guerra, i protagonisti sono soldati, ma in un primo momento in quel campo allestito in un’oasi nel deserto, la guerra sembra lontana, ma poi cambia tutto…

Accade spesso ultimamente che un film nasca da un libro: forse mancano degli autori?

Non è però una cosa nuova, è sempre accaduto, almeno in alcuni casi. Una volta però il cinema faceva molto da solo e non prendeva dalla letteratura. Bisogna dire che ci sono anche molti più scrittori di romanzi, centinaia di migliaia: tutti scrivono romanzi… e forse molti lo fanno pensando già al cinema…  

La filmografia di Mario Monicelli su Wuz

24 novembre 2006 Di Grazia Casagrande

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